Gli equilibristi dell'anima

Gli equilibristi dell'anima
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Giovedì 18 Settembre 2014, 05:54
L'ESTRATTO
Adesso che Craig Nolan ci ripensa nel gennaio del 2015, seduto alla scrivania nel suo studio in Little St Mary's Lane a Cambridge, con Jumping at Shadows di Peter Green a basso volume sullo stereo e la pioggia che cade fuori dalle finestre nel pomeriggio già quasi buio, il ricordo del suo primo arrivo a Canciale insieme a Mara è bagnato in una luce retrospettiva che lo fa oscillare continuamente tra nostalgia, perplessità e irritazione. C'è sempre la stessa domanda in attesa di risposta: quanto era inevitabile quello che è successo? Sarebbe stato possibile interrompere il corso degli eventi che hanno portato alla situazione attuale, o per lo meno deviarlo in una direzione meno disastrosa? Certo che sì, e certo che no, come per qualunque corso di eventi.
Per essere più specifici, lui avrebbe potuto non salire sul vecchio autobus azzurro che si era arrampicato, ostinato e strombazzante, per la strada a curve tra le colline sempre più montagnose, molto più lontano dalla costa di come si immaginava. Avrebbe potuto ascoltare la voce interiore che gli consigliava di non confondere un coinvolgimento sensoriale transitorio con un legame emotivo e pratico a lungo termine. Gli sarebbe bastato inventare un impegno di lavoro improvvisamente ineludibile, un'emergenza all'università, una qualunque ragione professionale che richiedesse urgentemente la sua presenza in Mongolia o nelle isole Salomone. Oppure avrebbe potuto dichiarare con brutale onestà che non si sentiva pronto per una relazione stabile, neanche con una donna interessante come lei; avrebbe potuto rivendicare il fatto che la sua attività e la sua mente non convenzionale richiedevano uno stile di vita lontano dai canoni della cosiddetta maturità.
INDIPENDENZA
Oltretutto Mara era così orgogliosa della sua indipendenza, così mobile e irrequieta: tutto quello che desiderava e praticava al momento del loro incontro era l'opposto della noia e della ripetizione. La donna più libera e indipendente che lui avesse conosciuto, una giovane scultrice di talento appena uscita faticosamente da una lunga e difficile storia con un liutaio ciclotimico, senza alcuna intenzione al mondo di chiedere a un altro uomo assicurazioni o garanzie sul futuro!
E il loro rapporto era a uno stadio così iniziale, ancora del tutto privo di abitudini, linguaggi condivisi, piani per il futuro o altri elementi consolidanti. Perché allora si era imbarcato su quell'autobus, se riusciva già a intuire le possibili conseguenze di un viaggio di nemmeno un'ora? Perché non era riuscito a tirarsi fuori dal gioco dello stupore provato e provocato, dello smantellamento delle difese, dell'esposizione pericolosa, dell'incoscienza che porta danni sicuri? Semplicemente perché rinunciare all'eccitazione del momento in nome della propria indipendenza gli era sembrato un gesto di una viltà intollerabile, che avrebbe lasciato per sempre una scia di rammarico; non era riuscito a mostrarsi privo di curiosità, incapace di slanci, avaro di sentimenti. Dopotutto quello era il suo percorso tracciato: intuire dove lo avrebbe portato non gli aveva impedito di continuare a seguirlo, passo dopo passo.
Quando finalmente erano scesi alla fermata di Canciale, avevano posato i loro zaini sull'asfalto e si erano guardati intorno, l'istinto di conservazione gli stava ancora parlando in modo inequivocabile. Insieme alla nausea per i quaranta minuti di ondeggiamenti e alla delusione cresciuta in modo direttamente proporzionale alla distanza dal mare, aveva una percezione acuta, anche se intermittente, dell'errore irreparabile che stava per commettere.
Eppure quella consapevolezza si era affievolita appena Mara lo aveva guardato con lo stesso sorriso di quattro giorni prima a Milano, quando l'aveva incrociata vicino a piazza Cordusio mentre passeggiava in attesa di un'intervista. Era rimasto tanto colpito da quella splendida ragazza mediterranea con i capelli ricci, gli occhi castani, la figura solida e morbida al tempo stesso, da chiederle (in un italiano allora assai approssimativo, e con una faccia tosta di cui lui stesso si era stupito) «Perdono, dove è la piazza del Duomo?» anche se sapeva benissimo che era un centinaio di metri alle sue spalle. Lei lo aveva guardato con un'espressione in cui il senso dell'umorismo si mescolava alla curiosità, e inaspettatamente gli aveva ribattuto in inglese «Seriously?» Dopo di che le sue labbra si erano appunto distese nel sorriso più luminoso che lui avesse mai visto, e tutto il programma degli otto giorni di vacanza-lavoro legata all'uscita dell'edizione italiana di “Cuore primitivo” era andato improvvisamente all'aria.
L'APERITIVO
Avevano chiacchierato camminando lungo via Orefici, l'aveva convinta a bere un aperitivo in Galleria (lei aveva preso un Americano, lui un Martini cocktail), avevano parlato con una tale intensità che lui si era completamente dimenticato dell'intervista in albergo, l'aveva invitata alla sua conferenza la sera dopo, avevano saltato la cena ufficiale per andare a cercare un piccolo ristorante dove mangiare da soli, e da lì in poi non avevano più smesso di starsi vicini.
Lui aveva rinunciato a diverse altre interviste e ad alcuni incontri a Firenze, Pisa e Roma, lei aveva visto i suoi genitori molto meno di come avesse pensato quando era venuta a Milano (...)
Andrea De Carlo
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