Schwazer e il doping,
il fai da te non convince

Alex Schwazer
di Carlo Santi
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Giovedì 9 Agosto 2012, 08:50 - Ultimo aggiornamento: 10 Agosto, 11:50

dal nostro inviato Carlo Santi

LONDRA - stato il giorno della confessione ma ha lasciato tanti dubbi. Le parole di Alex Schwazer a Bolzano , il suo pianto per liberarsi di quel peso troppo grande che si chiama doping lascia spazio a troppi quesiti. Schwazer ha raccontato la sua verità sulla vicenda. È partito da lontano, Alex, ha detto che nel settembre del 2011 è volato ad Antalya, la Rimini della Turchia, per comperare l’Epo pagandola 1500 euro.

Lo ha detto lui e i turchi si sono irritati: dica dove e in quale farmacia è andato. Sarà anche vero quel viaggio, documentato come documentati sono però gli incontri in passato con il dottor Ferrari, ma rimane un dubbio: se undici mesi fa Schwazer aveva deciso di seguire la strada dell’imbroglio, perché adesso afferma di averlo fatto solo nelle ultime tre settimane iniettandosi l’Epo? E dove ha conservato, per così tanto tempo, l’eritropoietina? «L’Epo può essere conservata a lungo - ha spiegato il professor Giuseppe D’Onofrio, ematologo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - ma occorre fare attenzione».

Possibile che in quasi un anno la sua fidanzata Carolina Kostner non si sia accorta di nulla? Passi per il nervosismo pre-gara dell’ultimo mese, ma prima... Perché poi il marciatore ha interrotto i rapporti con il dottor Michele Ferrari nel 2011 (aveva cominciato due anni prima per chiedere consigli sull’allenamento) dopo aver appreso dei guai del professionista di Ferrara con il ciclismo? Era noto che il dottor Ferrari già in passato aveva avuto a che vedere con il doping - la Federciclismo lo aveva squalificato nel 2002 - e allora perché rivolgersi proprio a lui?

Sono tanti i dubbi che rimangono di una vicenda oscura, che cancella la pulizia di un campione che non è stato capito e aiutato da chi gli era vicino, dallo staff tecnico in primis, che avrebbe dovuto vivere giorno dopo giorno il suo lavoro e il suo disagio. In troppi hanno guardato l’aspetto sportivo, i chilometri che marciava e non l’uomo e la sua serenità. Come è stato possibile che la grande fatica per gli allenamenti, da lui definita nausea, non sia stata notata? Sotto certi punti di vista, ovviamente esagerando perché qui non si parla di droga, si può ricordare il cammino di Pantani e il suo stare male. Ma anche con il Pirata nessuno del suo entourage intervenne: tutti chiedevano a Marco di essere il super scalatore, l’uomo che vinceva e basta. Come, pazienza. E lo hanno abbandonato.

Un errore arrivato nell’attimo dello sconforto, con stagioni negative alle spalle, non possono cancellare i precedenti. Quando Schwazer divenne campione olimpico nel 2008, tutto era bello, feste e premi per lui. Ma quando ha ricominciato, con pochi chilometri nelle gambe, è inciampato al mondiale di Berlino. Alla porta di Brandeburgo sono cominciati i guai e il declino psicologico dal quale, rimanendo nella solitudine di una valle, non è riuscito a risalire.

È tempo di capire cosa è accaduto davvero, al di là delle parole pronunciate ieri a Bolzano.

«C’erano giorni in cui mi svegliavo e avevo la nausea», ha detto Alex ma anche questo è poco credibile. Era marzo, il 18, quando Schwazer tornando a Lugano come un anno fa, fu super nella 20 chilometri marciando in 1h17:30, record italiano e miglior tempo finora al mondo e sesto di sempre. Se non ci si diverte, se non si ha cuore, è difficile fare tanto. Per togliere ogni dubbio, rifacciamo le analisi del controllo antidoping di quel giorno e confrontiamo i dati con il test di due anni prima quando, sempre a Lugano e sempre in marzo, aveva ottenuto 1h18:24, anche allora miglior prestazione della stagione. Dalla Svizzera si potrebbe cominciare a scoprire un pezzo di verità.

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