NURSULTAN (Kazakhstan)
– Dieci secondi di silenzio trascorsi in preghiera per mettere fine a tutti i conflitti dei mondo, ma non si parla di Ucraina: 81 leader religiosi hanno risposto alla chiamata del governo kazako e si trovano seduti attorno ad un enorme tavolo circolare nella avveniristica sala da congressi. Grandi schermi, traduzioni simultanee ma ben poche attese su un dibattito effettivamente condizionato dalle gabbie politiche causate dalla situazione esplosiva internazionale. Il convitato di pietra resta il Patriarca ortodosso Kirill, che ha defezionato all'ultimo minuto, per essere stato definito un tirapiedi di Putin da Papa Francesco e perchè non condivide l'impostazione occidentale sul conflitto in corso: Kirill continua a benedirlo e definirlo moralmente giusto. «Dio è pace e non conduce alla guerra» gli replica indirettamente Bergoglio.
Il pontefice fa ingresso in sala in carrozzella e si siede accanto all'imam del Cairo, Al Tayyen. Si baciano come due fratelli. In rappresentanza del Partriarcato di Mosca c'è il numero due Antonij che guida una piccola delegazione al posto di Kirill che continua ad appoggiare incondizionatamente la guerra del Cremlino. Il grande meeting prende il via e include musulmani sciiti e sunniti, ortodossi, buddisti, ebrei e scintoisti ma in fondo sembra seguire una sorta di manuale Cencelli inter-religioso, in un incrocio di veti e controveti carsici, sollevati a più riprese dietro le quinte, subito disinnescati per non gettare altra benzina sul fuoco. Del resto il quadro mondiale è reso incandescente dagli ultimi sviluppi dalla guerra in Ucraina, dalle pressioni cinesi su Taiwan, dalla guerra azera contro gli armeni scatenatasi ieri, proprio mentre l'aereo del Papa sorvolava lo spazio aereo azero.
A Papa Francesco spetta parlare per secondo dopo l'intervento del presidente kazako Tokayev.
Per il futuro il Papa indica il sentiero della cura, della compassione, «occorre diventare artigiani di comunione, testimoni di una collaborazione che superi gli steccati delle proprie appartenenze comunitarie, etniche, nazionali e religiose». Quanto al dialogo, dice, si può solo rafforzare se si porta avanti «pensando in particolare ai bambini e alle giovani generazioni. Ripete che le religioni devono stare dalla parte dei poveri. «È la via della compassione, che rende più umani e più credenti. Sta a noi, oltre che affermare la dignità inviolabile di ogni uomo, insegnare a piangere per gli altri, perché solo se avvertiremo come nostre le fatiche dell’umanità saremo veramente umani». La pace si costruire lentamente, non è il frutto di lunghi estenuanti incontri diplomatici, ma un impegno costante. «Dio è pace e non conduce mai alla guerra. Investiamo in istruzione e non in armamenti».