Nei video della liberazione, gli anziani vengono accompagnati negli ultimi passi verso il pulmino bianco del Comitato internazionale della Croce Rossa di Ginevra. Barcollano e si guardano attorno sgomenti, quasi increduli, e terrorizzati. C'è chi dev'esser preso in braccio. Una ragazza che si trovava al festival musicale Nova a Reim, nel deserto, ha una gamba rotta per un proiettile che l'ha colpita. Ma tra i primi gruppi di ostaggi rilasciati, è forse l'unica ad avere bisogno di cure immediate e trattamento medico. Gli altri sono in condizioni «buone» o «stabili», recitano i bollettini delle cliniche, tranne l'84enne che ieri è stata trasportata d'urgenza in elicottero in ospedale. Le ferite sono più profonde di quelle visibili. Probabile che a essere liberati siano gli ostaggi che stanno fisicamente meglio, non quelli malmessi. Le testimonianze coincidono.
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I RACCONTI
I redivivi parlano di scarsità di cibo e di fame, la stessa che però affligge un po' tutti gli abitanti della Striscia.
NESSUNA VIOLENZA
Keren Munder, liberata venerdì, per bocca di sua cugina ha fatto sapere che c'erano giorni in cui si pativa la fame e si aveva a disposizione appena un tozzo di pane. Nessuna tortura, in compenso. Alcuni prigionieri sono stati autorizzati anche ad ascoltare la radio israeliana e è così che Hannah Katzir ha saputo del figlio assassinato, ma solo il giorno della liberazione ha appreso che il marito era tenuto pure lui ostaggio a Gaza. Le famiglie sono state separate. Donne e bambini da una parte, gli uomini dall'altra. Itai Pessach, un primario di pediatria allo Sheba Medical Center, si rallegra che nonostante tanti giorni di prigionia, nessuno degli otto bambini e delle quattro donne che ha visitato «necessiti di interventi medici importanti o urgenti». Stabili pure le condizioni degli ostaggi accolti dagli ospedali Soroka e Shamir. Da Washington, Biden ha riconosciuto dopo la liberazione del primo gruppo di israeliani che «tutti questi ostaggi sono passati attraverso un calvario terribile, questo è solo l'inizio di un lungo viaggio verso la guarigione, gli orsacchiotti ha detto aspettano i bambini negli ospedali e stanno là a ricordare il trauma che questi piccoli hanno attraversato nella loro tenera età». Anche perché molti lasciano a Gaza i familiari o hanno assistito alla loro uccisione il 7 ottobre.