Nikki Haley, chi è la donna che ha battuto Trump in Vermont nel Super Tuesday: «L'unità non si fa parole»

Il profilo della sfidante del tycoon che non vuole "arrendersi" nella corsa verso la candidatura

Nikki Haley, chi è la donna che ha battuto Trump in Vermont nel Super Tuesday: «L'unità non si fa parole»
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Mercoledì 6 Marzo 2024, 06:19 - Ultimo aggiornamento: 7 Marzo, 10:11

Donald Trump (come Joe Biden per i democratici) sbanca e vince a valanga nel Super Tuesday, la maxi tornata delle primarie Usa dei repubblicani con 15 stati e un territorio americano, ipotecando la nomination e quindi il rematch nelle elezioni di novembre. Ma, come Biden, vede confermate le proprie vulnerabilità.

Super Tuesday, tutti i risultati e Stato per Stato e i delegati conquistati da Trump e Biden

Nikki Haley, la rivale repubblicana del tycoon, gli impedisce lo "strike" strappandogli a sorpresa il liberal Vermont, secondo successo dopo la capitale. E per ora non molla, continuando ad attrarre uno zoccolo duro di elettori moderati o indipendenti che nelle elezioni generale potrebbero compromettere le chance di vittoria di Trump, soprattutto in alcuni stati in bilico.

Le parole di Nikki Haley

Nikki Haley risponde infatti indirettamente all'appello all'unità del partito repubblicano Donald Trump sostenendo che «l'unità non si raggiunge dicendo semplicemente 'siamo uniti».

In un comunicato della campagna dopo i risultati del Super Tuesday, l'ex ambasciatrice all'Onu sottolinea che «resta un ampio gruppo di elettori repubblicani profondamente preoccupati da Trump».

«Questa non è l'unità di cui il nostro partito ha bisogno per avere successo. Affrontare queste preoccupazioni renderà il partito e l'America migliori», ha concluso la rivale del tycoon che ha deciso di non tenere un discorso pubblico.

Cosa farà Haley

Ora dovrà decidere se continuare o meno la gara, anche se non ha alcuna speranza di raggiungere il quorum per la nomination. Ma dopo il Super Tuesday sa di poter contare su un patrimonio di voti che veleggia mediamente intorno al 20% (anche nello stato in bilico del North Carolina), superando il 30% in Virginia, Colorado, Minnesota, e sfiorando il 40% in alcuni Stati, come in Massachusetts. Quel che basta per far perdere Trump il 5 novembre.

Chi è

Figlia di un biologo e di un’avvocata trasformatasi in imprenditrice, Nimrata Nikki Randhawa nasce il 20 gennaio 1972, terza di quattro figli di una famiglia sikh che vive a Bamberg, nella Carolina del Sud centrale. Bambina prodigio - a 4 anni legge e scrive in corsivo, a 13 già aiuta la mamma a tenere la contabilità della sua azienda -, inizia a combattere il pregiudizio già dalle scuole elementari quando, alla recita per il Ringraziamento, le viene assegnato il ruolo di Pocahontas. «Non sono quel tipo di indiano. Perché non posso essere una dei pellegrini?». D’altra parte il mantra di casa Randhawa era: «non lamentarti dei problemi, prova a risolverli», motivo per cui quando uno dei quattro fratellini piangeva non riceveva coccole e abbracci dai genitori ma un bicchiere d’acqua e l’invito ad andare in cameretta a calmarsi. «Sapevano che avremmo dovuto affrontare difficoltà e ostacoli nella vita e volevano che fossimo preparati», racconta nel suo libro del 2012.

L'università e l'amore

Finita la scuola entra alla Clemson University con una borsa per studiare gestione tessile e si laurea nel 1994. Ma il momento cruciale è il primo weekend di quel ciclo di studi, quello in cui conosce Bill Haley, suo futuro marito. «Non hai una faccia da Bill», e così Haley diventa per tutti Michael, il suo secondo nome. Si sposano nel 1996, prima con rito sikh, poi in una chiesa metodista. Ma alla fine scelgono il cristianesimo che meglio interpretava «il modo in cui vogliamo vivere la nostra vita e crescere i nostri figli», due, Rena e Nalin.

Dopo la laurea inizia a lavorare a Charlotte e dopo due anni torna a casa per lavorare per Exotica International, l’azienda della mamma che intanto è cresciuta fino ad essere ospitata in un edificio di 10.000 metri quadrati. In quegli anni matura la decisione di scendere in politica, dopo aver assistito a un convegno di cui Hillary Clinton è relatrice. «Troppo giovane, con i bambini piccoli… tutti i motivi per cui ci dicono che non dovremmo candidarci, sono quelli per cui dobbiamo farlo», dice la moglie dell’ex presidente e Nikki si illumina.

 

L'ascesa politica

Nel 2004 si candida per un seggio alla Camera sfidando il deputato più longevo della legislatura Larry Koon: in un distretto legislativo profondamente conservatore, per lo più cristiano fondamentalista e per oltre il 90% bianco, ottiene il 40% dei voti alle primarie repubblicane a tre contro il 42% di Koon, poi surclassato di dieci punti nel ballottaggio a due. Nel 2010 si candida a governatore: insegue gli altri tre candidati per tutta la campagna elettorale ma alla fine vince lei. Durante la sua leadership spinge molto sulla crescita industriale al punto che quando lascia l’incarico la Carolina del Sud ha 400 mila occupati in più rispetto a sei anni prima.

Alla vigilia delle presidenziali del 2016 dice di non essere fan né di Hillary Clinton, né di Donald Trump. Ma alla fine vota per l’uomo del suo schieramento che, una volta eletto, le chiede di diventare sua ambasciatrice alle Nazioni Unite. Lei pone tre condizioni: non farò tappezzeria, dovrò essere libera di dire sempre quello che penso e voglio essere all’interno della stanza quando vengono prese le decisioni sulla sicurezza nazionale. Il tycoon acconsente e lei, anni dopo, dice che effettivamente ha sempre rispettato i patti. Cresce anche la sua credibilità internazionale: il New York Times dirà di lei che è l’unica persona a uscire dall’amministrazione Trump con la dignità sostanzialmente intatta. Dopo aver lasciato l’amministrazione Trump le posizioni tra i due si distanziano, specie dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021: «le sue azioni saranno giudicate severamente dalla storia», dice lei.

Come si definisce

Ed è forse lì che inizia davvero la sfida al tycoon. Nikki - che preferisce esser definita «tosta» che «ambiziosa» e che ha tre modelli di vita - «mia madre, Margaret Thatcher e Martina Navratilova» - può spaventare Trump con un dato eccezionale: non ha mai perso un’elezione. «L’élite politica si sta unendo attorno a Trump, e l’élite politica non è mai stata con me in tutta la mia carriera perché l'ho sempre combattuta - ha detto in New Hampshire - La classe politica ci ha messo in questo pasticcio e abbiamo bisogno di una persona normale che ce ne tiri fuori». Ecco il suo proclama: la corsa verso la Casa Bianca continua.

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