Joe Biden sa che nella guerra a Gaza è in gioco la leadership Usa in Medio Oriente. Ma il lavoro del presidente Usa appare sempre più quello di un equilibrista, in bilico tra l’alleanza con Israele e la strategia per frenare la crisi umanitaria nella Striscia. I dati sulla situazione a Gaza sono allarmanti. A metà marzo gli esperti delle Nazioni Unite ritenevano possibile l’esplosione di una carestia tra fine aprile e metà maggio. E secondo Usaid, l’agenzia Usa per gli aiuti umanitari, già ora è possibile parlare di carestia in alcune aree dell’exclave palestinese. La malnutrizione falcidia soprattutto bambini appena nati e donne incinte. E ora, con la possibile operazione israeliana su Rafah, l’allarme risuona anche in vista di un nuovo esodo di centinaia di migliaia di profughi.
IL PROGETTO
Per evitare il disastro, l’amministrazione Biden preme da mesi sul capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu per sbloccare gli aiuti via terra.
Rafah, ripartono i raid aerei: nuova strage di bambini, morti dieci palestinesi
L’EMERGENZA
Per Biden, fresco di via libera agli aiuti militari (anche) per Israele, è essenziale chiudere i lavori il prima possibile. Perché il governo di Tel Aviv è sempre più convinto di dover accelerare la guerra ad Hamas. Ieri, il capo di stato maggiore Herzi Halevi ha approvato i piani per la «continuazione della guerra». E in un messaggio diffuso per la vigilia della Pasqua ebraica, Netanyahu ha mandato un nuovo avvertimento: «Nei prossimi giorni, aumenteremo la pressione militare e politica su Hamas: è l'unico modo per liberare gli ostaggi e raggiungere la vittoria». Per il premier «tutte le proposte per il rilascio dei nostri ostaggi sono state respinte» e per questo saranno assestati ad Hamas «ulteriori e dolorosi colpi». Nel mirino c’è Rafah. I preparativi per l’offensiva sono frenetici e gli aerei israeliani colpiscono da giorni con maggiore intensità la città dove sono fuggiti più di un milione e mezzo di civili e anche gli ultimi battaglioni di Hamas. Secondo le fonti locali, i raid della scorsa notte hanno provocato 22 morti. E il leader dell’organizzazione, Ismail Haniyeh, ha chiarito che «se il nemico sionista entra a Rafah, il popolo palestinese non alzerà bandiera bianca» e che i miliziani sono pronti a resistere. Washington non vuole che la situazione sfugga di mano. Ma con i negoziati fermi e la volontà israeliana di dare una svolta al conflitto, la strada appare tracciata. Biden e il segretario di Stato, Anthony Blinken, stanno provando a convincere Netanyahu, sperando che non ascolti l’ala più radicale del suo governo. E da Washington arrivano segnali sempre più chiari. Ieri, è trapelata la notizia di un piano Usa per sanzionare il battaglione Netzah Yehuda, accusato di gravi violazioni dei diritti umani in Cisgiordania (dove ieri, nel campo profughi di Nur Shams, si è conclusa un'operazione militare di 50 ore che ha visto la morte di 14 palestinesi). Per l’esercito israeliano si tratterebbe di un colpo durissimo. Ma lo sarebbe soprattutto per Netanyahu, che ha già bollato l’ipotesi come «il massimo dell'assurdità e un basso livello morale». Anche il leader dell’opposizione Benny Gantz ha chiesto agli Usa di ripensarci. Ma l’avvertimento è arrivato forte e chiaro alle orecchie di Bibi. E ha ricordato ancora una volta la difficile condizione di Biden: diviso tra l’asse con Israele, le pressioni interne e la frustrazione per una guerra che sembra fuori dal suo controllo.