Orologi Swatch, il direttore artistico Carlo Giordanetti: «Il nostro cuore batte per l'arte»

Renzo Piano ha accettato di fare un orologio «a patto che ogni pezzo del movimento cambiasse colore»

Orologi Swatch, il direttore artistico Carlo Giordanetti: «Il nostro cuore batte per l'arte»
di Paolo Gobbi
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Mercoledì 27 Ottobre 2021, 09:00

Nel novembre del 2011 a Shanghai viene inaugurato lo Swatch Art Peace Hotel e cominciano ad arrivare i primi artisti da tutto il mondo. Da allora, la residenza di Swatch ha ospitato più di 400 artisti provenienti da 54 Paesi. La mostra che si è appena conclusa al Maxxi di Roma Welcome! 10 anni di Swatch Art Peace Hotel ha raccontato i primi 10 anni di questa straordinaria residenza aristica. Ne parla Carlo Giordanetti, storico direttore creativo di Swatch.
Com’è nata l’idea dell’Art Peace Hotel?
«Il progetto nasce da una visione di Nick Hayek, cofondatore e inventore dello Swatch, scomparso nel 2010. Ci siamo chiesti come potevamo comunicare in maniera ancora più concreta quello che Swatch ha sempre fatto con l’arte, andando al di là del prodotto. L’incontro con l’edificio è stato forse un po’ l’elemento scatenante. Perché era un edificio storico, in una location straordinaria di Shanghai, sulle rive del fiume, con una storia forte».
Poi avete trasformato un’idea in realtà.
«È scattata la voglia di fare un gesto di generosità, come lo definiamo noi, nei confronti degli artisti, regalando loro quello che forse hanno di meno: lo spazio e il tempo. Perché l’idea era quella di dire: non siamo un brand del lusso in maniera tradizionale, però siamo un brand che abbraccia un concetto di lusso in qualche modo “intellettuale”. È un lusso che passa anche dalla comprensione di tutto quello che è il design, la tecnologia, l’innovazione. Quindi abbiamo accolto tantissimi artisti delle cosiddette visual art, pittori, scultori, ecc. Quello che ci impegniamo a fare in maniera quasi regolare è di raccontare il progetto attraverso le loro opere, ospitate in location diverse».
Gli appassionati come reagiscono agli orologi?
«I progetti ad alta creatività e in tiratura limitata in genere piacciono molto. La comunità dei collezionisti e degli appassionati chiaramente si è evoluta. Oggi vediamo un grande interesse da questa parte di pubblico nel sapere cosa c’è dietro un progetto, qual è la storia».
Le vostre collezioni “artistiche” vanno considerate esercizi di stile?
«Stiamo continuando un discorso. Quando abbiamo iniziato nell’85, nessuno faceva un prodotto industriale a basso prezzo di grandi volumi con in più la collaborazione di un artista. Le nostre scelte in questo ambito non sono e non erano di carattere economico. Gli artisti hanno regalato altro alla marca, portando soprattutto un importante punto di vista esterno».
Un esempio?
«Quando abbiamo chiesto a Renzo Piano di fare un orologio, in un primo momento ha detto no: si considerava un architetto e non un designer e non aveva mai fatto prima dei prodotti. Dopo un po’ però ci ha ripensato, accettava di disegnare uno Swatch a patto che fossimo in grado di realizzare la sua idea: colorare gli elementi del movimento ognuno di un colore diverso. All’inizio pensavamo fosse impossibile. Poi invece ci siamo riusciti e da lì è nato un nuovo linguaggio di Swatch. Questo è un esempio in cui l’artista ha fatto la differenza ed è la parte più appassionante per il brand».

 

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