Il risarcimento riconosciuto dopo 46 anni è di 101.000 euro ma con interessi e rivalutazione corrisponde a 120.000 euro circa.
Nel 1970 alla donna, che all'epoca era una giovane ragazza di 25 anni, vennero trasfuse alcune sacche di sangue, accertate come infette durante il processo iniziato nel 2012.
Nonostante il lungo lasso di tempo trascorso dalle trasfusioni del 1970 all'inizio della causa del 2012, il Tribunale ha accolto la tesi dell'avvocato Renato Mattarelli - che ha assistito la donna - secondo cui, per provare la relazione causale fra le trasfusioni al Goretti degli anni '70 e il contagio del virus, non è necessaria la prova certa che i donatori siano stati rintracciati e trovati positivi all'epatite C. Secondo l'avvocato è invece "sufficiente un grado di probabilità pari al 50% allorquando non sussiste la prova che il contagiato abbia avuto comportamenti a rischio di infezione epatica come ad esempio: promiscuità sessuale, terapia dialitica, interventi chirurgici, omosessualità, body piercing, tatuaggi"
Nella sentenza il giudice ha infatti affermato che il consulente medico nominato dal tribunale «ha poi evidenziato che “nel caso in esame non sono emersi elementi anamnestici o comportamentali che possano ricondurre l’infezione epatitica a causa diversa dall’emotrasfusione».
La donna «per assistenza al parto in una gravidanza a termine senza menzione di rischi superiori allo standard, fu sottoposta a due trasfusioni» delle quali, quindi, neanche c'era bisogno. Le trasfusioni, fra l'altro, si legge nella sentenza «avvennero .senza che peraltro fossero esplicitate le ragioni di tale decisione nella cartella clinica in atti». La sentenza sarà appellata perché l'avvocato ritiene il risarcimento « molto più basso rispetto il grave danno alla salute emerso in corso di causa e dalla consulenza medica legale che ha riconosciuto un' invalidità permanente del 50% da cui però il tribunale si è discostato e diminuito».
© RIPRODUZIONE RISERVATA