Latina, scoperta enorme discarica di rifiuti tossici in una cava: 22 arresti e maxi sequestro

Latina, scoperta enorme discarica di rifiuti tossici in una cava: 22 arresti e maxi sequestro
4 Minuti di Lettura
Giovedì 27 Luglio 2017, 08:02 - Ultimo aggiornamento: 28 Luglio, 20:12

Rifiuti tossici di ogni tipo interrati in una zona sottoposta a vincolo idrogeologico, sversamenti selvaggi che vanno avanti da mesi e che potrebbero aver inquinato anche una sorgente di acqua minerale, mettendo a rischio la salute di migliaia di cittadini, una decina di società e diversi imprenditori coinvolti nel traffico illegale. L'ennesimo abuso del territorio è stato svelato dalla Polizia che, con un'indagine nata quasi per caso, ha scoperto un'enorme discarica abusiva ad Aprilia, paese a cavallo delle province di Roma e Latina. 
 


Ventidue i provvedimenti emessi dal Gip di Roma su richiesta della Dda, che ha coordinato le indagini: 16 ordinanze di custodia cautelare in carcere (uno dei destinatari risulta ancora irreperibile) e 6 divieti di dimora. Nei loro confronti i pm ipotizzano una serie di reati che, a vario titolo, vanno dall'associazione a delinquere al traffico illecito di rifiuti, dall'intestazione fittizia di beni all'autoriciclaggio. «Dai filmati delle telecamere e dalle intercettazioni - scrive il gip nell'ordinanza - emergono atteggiamenti francamente inquietanti, assoluto sprezzo delle comuni regole di gestione dei rifiuti, totale indifferenza per i gravissimi, e probabilmente irreversibili, danni cagionati al territorio, interesse esclusivo per il denaro». Le indagini sono partite a marzo del 2016: gli uomini della polizia stradale si sono insospettiti di un anomalo traffico, anche di notte, di camion lungo una strada chiusa diretta ad una cava dismessa. Gli accertamenti sui mezzi e i controlli con le videocamere e con gli elicotteri, hanno consentito di scoprire l'esistenza della discarica.

Le successive indagini degli uomini della squadra mobile di Latina e dello Sco hanno consentito di capire come funzionava il sistema. Da un lato c'erano gli 'smaltitorì, vale a dire coloro che gestivano la discarica: al vertice il proprietario della cava, Antonino Piattella, al suo fianco il figlio 22enne Riccardo, che aveva il compito di ricevere i camion con i rifiuti e di predisporre le buche dove interrare le sostanze pericolose, e la moglie Roberta Lanari che si occupava di incassare i compensi. L'altro gruppo era invece composto dai 'conferitorì, le società e gli imprenditori di Roma e Latina, molti dei quali operavano nel settore dei rifiuti, che inviavano i camion carichi di qualunque rifiuto. Grazie ai sistemi di videosorveglianza, gli investigatori hanno potuto vedere i tir arrivare e scaricare materiale di qualsiasi tipo: rifiuti solidi urbani, da costruzione e demolizione e sostanze pericolose da cui esalavano fumi colorati. «Quando abbiamo capito la quantità e la qualità dei rifiuti gettati nella cava - spiega il capo della mobile Carmine Mosca - c'era da rabbrividire. Abbiamo monitorato centinaia di episodi di sversamento illecito». «Si tratta di un'indagine su tematiche di estrema complessità e di vitale importanza - ha sottolineato il capo dello Sco Alessandro Giuliano - perché attiene alla salute di tutti e alla sopravvivenza dei nostri territori».

Per questo sono stati avviati dei controlli sulla sorgente di acqua minerale e su un torrente che scorre vicino alla discarica. «Vogliamo verificare - ha spiegato il procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino - quali conseguenze possano essersi determinate sulla genuinità delle acque ed evitare così qualsiasi danno alla salute». Gli accertamenti patrimoniali hanno consentito di accertare come molti degli indagati avessero reinvestito nel circuito legale i proventi dal traffico illecito. A guadagnarci erano tutti: i gestori della discarica, che non hanno mai dichiarato al fisco le somme ricevute, e le società che utilizzavano la cava per far sparire i rifiuti, risparmiando sui costi per lo smaltimento legale delle sostanze pericolose.
Sono così scattati i sequestri di 9 società, 11 quote societarie, 7 fabbricati adibiti ad abitazione e 8 industriali, sette depositi, 37 terreni, una sessantina di automezzi, rapporti bancari e 200mila euro in contanti per un valore complessivo di circa 15 milioni. «Episodi di questo genere non lodano Dio, ma lo bestemmiano». Non usa mezzi termini mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano, per esprimere il proprio «sgomento» e la propria «condanna» per la discarica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA