Strage Erba, il magistrato Tarfusser: «Confessioni indotte, quelle prove non potevano reggere: l’ho capito subito leggendo gli atti»

Il sostituto procuratore generale di Milano: il procedimento disciplinare a mio carico? Ho fatto solo il mio mestiere

Strage Erba, il magistrato Tarfusser: «Confessioni indotte, quelle prove non potevano reggere: l’ho capito subito leggendo gli atti»
di Valentina Errante
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Mercoledì 10 Gennaio 2024, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 08:12

Cuno Tarfusser è ovviamente soddisfatto. Il sostituto procuratore generale di Milano, che in contrasto con il suo ufficio (tanto da finire sotto procedimento disciplinare al Csm), ha deciso di chiedere la revisione del processo di Erba adesso, ancor più di prima, è convinto di avere agito nel modo più corretto. «La mia soddisfazione è professionale, perché la revisione è un fatto straordinario».

Si può dire che è una sua vittoria?
«Non la ritengo una mia vittoria, penso sia una vittoria per il sistema giustizia perché si apre uno spiraglio per un giusto processo con la rivisitazione di tutti gli elementi posti a carico di Olindo Romano Rosa Bazzi, che secondo me sono inconsistenti.

Prove che non provano nulla. O almeno di dubbia provenienza».

Eppure i due imputati hanno ammesso fornendo una serie di dettagli. Pensa che le confessioni siano state estorte?
«Non ho mai usato la parola estorto e non la uso. Diciamo indotte. Arrivano dopo che hanno più volte detto di essere estranei ai fatti. Non credo alla malafede di nessuno. Credo che Bazzi e Romano si siano addossati la responsabilità sulla base di una pressione alla quale era difficile resistere».

Perché le prove, dopo tre gradi di giudizio, non provano la responsabilità?
«L’ho scritto con chiarezza. Una delle tre prove principali, l’unica scientifica, è la traccia ematica rinvenuta. In base agli atti è stata repertata sul battitacco dell’auto degli imputati. Senza ombra di dubbio il sangue è riconducibile a Valeria Cherubini, ma nella foto dell’auto quella macchia non è visibile. Io sostengo che di questa macchia di sangue non c’è traccia negli atti. Nell’immagine non si vede. Manca quella che in inglese si chiama chain of custody. Non si sa come quel reperto arrivi al consulente tecnico, ossia non c’è certezza della provenienza. Non trovo il percorso dal momento della repertazione all’esito dell’esame scientifico che attribuisce la traccia ematica a una delle vittime. Bisogna fare un atto di fede per dire che era nell’auto e la prova non può consistere nell’atto di fede. L’altra anomalia è che la macchia viene trovata alcune settimane dopo, gli imputati avevano continuato a usare l’auto, sarebbe stato normale che la eliminassero».

Quindi secondo lei sono state falsificate le prove?
«Non sto dicendo questo. Dico che negli atti manca un passaggio, quello della catena di custodia indispensabile per la formazione della prova e un giusto processo».

E il riconoscimento dell’unico sopravvissuto, Mario Frigerio, che indica i coniugi come responsabili?
«Frigerio nel primo esame, che tendenzialmente è quello più immediato, descrive una persona che non ha affatto le sembianze di Olindo Romano. Parla di un uomo con la carnagione olivastra. Il nome di Olindo gli viene fatto dagli inquirenti e secondo i neuropsichiatri, che hanno analizzato i verbali, questo non è un riconoscimento autentico. Tra l’altro, in prima istanza, aveva detto che il killer fosse una persona che non aveva mai visto prima. C’è una sorta di manipolazione».

 

Ma perché sarebbe avvenuto tutto questo?
«Anche io ho fatto le indagini e spesso il desiderio di trovare un responsabile è così forte da condizionare».

La sua decisione di chiedere la revisione ha provocato non poche polemiche, lei è finito sotto procedimento disciplinare
«Deciderà il Csm, io ho fatto il mio mestiere. Un avvocato mi aveva chiesto cosa pensassi del “caso” e mi ha dato alcuni atti, più leggevo e più vedevo criticità. Quindi ho approfondito».

Pensa che la Corte esaminerà le nuove prove?
«La revisione c’è già. È stato notificato un atto di citazione. Confido che all’esito di revisione ci sia una giusta sentenza».

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