Mauro De Mauro, è suo il cadavere con la cravatta trovato nell'Etna? Il giornalista scomparve nel 1970

Il reporter fu rapito davanti casa sotto gli occhi della figlia. Accanto al cadavere trovato un giornale e delle monete.

Mauro De Mauro, è suo il cadavere con la cravatta trovato nell'Etna? Il giornalista scomparve nel 1970
di Lara Sirignano
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Venerdì 12 Novembre 2021, 08:09 - Ultimo aggiornamento: 08:40

Fu rapito davanti casa sotto gli occhi della figlia. Era il 16 settembre 1970. Un sequestro che Cosa nostra avrebbe commesso per conto di altri: tante ipotesi, ancora nessuna risposta. Cinquantuno anni dopo, un cadavere vestito con giacca e cravatta, scoperto in una grotta sulle pendici dell'Etna, riporta alla luce il giallo sulla tragica sorte del giornalista de L'Ora, Mauro De Mauro, scomparso e mai più ritrovato.

Etna, resti di un uomo trovati in una grotta: morto da decenni


I resti, con accanto un giornale e delle monete, sono stati scoperti a settembre, ma la Procura di Catania ha evitato di diffondere la notizia sperando di riuscire a risalire all'identità dell'uomo.

Poi la decisione di rendere pubblica la cosa e di lanciare un appello per riuscire a scoprire a chi appartenga il corpo. Letto della scoperta, la figlia di De Mauro, Franca, ha contattato la Finanza per sollecitare accertamenti. Ieri la Procura etnea ha disposto l'esame del Dna, anche se i primi elementi raccolti farebbero escludere che i resti della grotta appartengano al giornalista. Il quotidiano trovato, La Sicilia, è del 78, 8 anni dopo la scomparsa, le monete sarebbero state coniate nel 1977. A insospettire la donna è stata una malformazione del naso del cadavere: anche De Mauro l'aveva, ma la figlia non avrebbe riconosciuto i vestiti trovati addosso all'uomo e avrebbe smentito che il padre portasse, come il morto, un pettine in tasca.

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LA SENTENZA
Pare destinato a restare senza verità dunque il caso De Mauro, un mistero lungo 51 anni che finora ha portato a una sola verità giudiziaria. A decidere l'omicidio del giornalista, dicono i magistrati di Palermo, non fu Totò Riina, boss di Cosa nostra assolto definitivamente dalle accuse di sequestro di persona, omicidio e occultamento di cadavere. Nella ponderosa sentenza scritta dalla corte d'assise che scagionò il padrino corleonese si ipotizzò che il giornalista fosse stato ucciso perché, lavorando col regista Francesco Rosi a un film sulla morte di Enrico Mattei, avesse scoperto inconfessabili segreti. «Si era spinto troppo oltre nella sua ricerca sulle ultime ore del presidente dell'Eni in Sicilia», scrive il collegio. Per la corte il cronista, dunque, sarebbe giunto a un passo dalla verità «non soltanto sul sabotaggio dell'aereo, ipotesi che, se provata, avrebbe avuto effetti devastanti per i precari equilibri politici generali in un Paese attanagliato da fermenti eversivi e un quadro politico asfittico, ma anche sull'identità dei mandanti.


IL COMPLOTTO
Mattei che aveva da tempo rapporti strettissimi con l'Fln algerino e che di fatto aveva rotto il monopolio francese in Algeria nella ricerca e nello sfruttamento degli idrocarburi avrebbe dato fastidio alle Sette Sorelle, le grandi compagnie petrolifere inglesi, francesi e americane. Questo il movente di un complotto internazionale che avrebbe utilizzato la mafia per eliminare l'ex presidente. Un terribile segreto che De Mauro avrebbe scoperto. A fare il lavoro sarebbe stata Cosa nostra: ma non quella di Totò Riina, bensì quella di Stefano Bontade e don Tano Badalamenti che all'epoca avevano un potere e un controllo del territorio tali da poter organizzare un delitto eccellente senza la complicità dei corleonesi.

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