Emilia Romagna, il giallo delle due alluvioni in 15 giorni. Cosa è successo? C'entra (anche) il clima estremo

L'esperto: «L’estremizzazione è conseguenza del riscaldamento climatico»

Emilia Romagna, Mercalli: «Due alluvioni in 15 giorni? Avremmo dovuto vederle in 100 anni. Colpa del clima estremo»
di Valeria Arnaldi
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Giovedì 18 Maggio 2023, 13:36 - Ultimo aggiornamento: 19 Maggio, 22:05

Caldo anomalo e alluvioni, siccità ed esondazioni: il clima in Italia diventa “estremo” e ricorda atmosfere tropicali. Luca Mercalli, climatologo, cosa sta accadendo?

«L’estremizzazione è conseguenza del riscaldamento climatico. Va acquisita come dato di fatto. Da anni parliamo degli effetti del riscaldamento globale, ma poi, tolto il fango di un’alluvione, tutto viene dimenticato. Eventi come quelli che stiamo vedendo in Emilia-Romagna c’erano anche in passato, ma ora diventano più frequenti e più intensi. In quindici giorni si sono verificate due alluvioni. Sono episodi che avremmo dovuto vedere in cento anni. È proprio questo che fa il riscaldamento climatico: estremizza, appunto».

 

Da qui anche situazioni molto diverse tra loro, come appunto siccità e alluvioni, in contemporanea a scarsa distanza?

«Sì, abbiamo le alluvioni in Emilia-Romagna, ma la siccità che continua in pianura padana.

Sono due anomalie a pochi chilometri di distanza. Ora si attende una nuova grossa perturbazione per sabato e domenica in Piemonte, che metterà la parola “fine” alla siccità durata diciassette mesi, ma anche quindi dobbiamo renderci conto che un’anomalia ne sostituisce un’altra. La siccità sarebbe potuta finire in modo lento con precipitazioni moderate e invece termina tutta in un botto».

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Quindi, come sarà il clima del nostro Paese, guardando avanti?

«Sempre peggio. Il riscaldamento globale è al suo inizio, non è un fenomeno concluso, e non stiamo facendo nulla, anzi le emissioni mondiali sono in crescita. È ragionevole pensare che nei prossimi decenni avremo sempre più eventi estremi».

Come si dovrebbe intervenire?

«Bisognerebbe cambiare il modello economico, globale, basato sulla crescita dei consumi: non è compatibile con la natura. È un tema complesso. Implica anche un cambiamento di filosofia e approccio. Le risorse del pianeta non sono infinite e si comincia a vedere. Il pianeta non può continuare a ricevere inquinamenti di ogni tipo, da quello atmosferico alla plastica dell’oceano».

C’è anche un problema culturale?

«Certo, l’attitudine è quella di pensare che non sia colpa nostra, che il problema non ci riguardi e che passeranno decenni prima di vederne gli effetti, che dunque interesseranno, forse, i nostri figli. Non è così. Basta guardare, ora, le immagini di Forlì o Cesena. Il problema riguarda già noi. E sarà sempre peggio. Questo non vuol dire che non si possa tentare di limitare i rischi».

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In che modo?

«Ci sono le proposte di Ue e Nazioni Unite in tal senso, studiate proprio per limitare i danni. Bisogna lavorare sugli impegni per il risparmio energetico e la transizione alle energie rinnovabili, per diminuire le cause dei cambiamenti climatici. Ma deve essere un disegno globale. Anche, come singoli dobbiamo pensare a quanto consumiamo e a quanto sprechiamo. Basta guardare a come si usa l’energia: se ci sono pannelli solari, se si ha l’auto elettrica e via dicendo».

Quanto tempo abbiamo per cambiare le cose?

«Una decina di anni. E si badi questo tempo serve perché la cura sia ancora efficace per il pianeta. Non mancano dieci anni all’Apocalisse, ma tra un decennio il pianeta sarà un malato terminale».

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