Macerata, il racconto dell'orrore: altri due nigeriani fermati per l'omicidio di Pamela

Macerata, il racconto dell'orrore: altri due nigeriani fermati per l'omicidio di Pamela
di Daniel Fermanelli
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Venerdì 9 Febbraio 2018, 18:26 - Ultimo aggiornamento: 10 Febbraio, 16:29

MACERATA C'è un branco dietro l'orrenda fine di Pamela Mastropietro. È la convinzione che prende sempre più piede tra i carabinieri alla luce degli elementi emersi nella convulsa giornata di ieri, quando altri due nigeriani sono stati fermati. Uno di loro è stato bloccato a Milano, alla stazione della metro, con la moglie: secondo i carabinieri cercava la fuga in Svizzera. È stato caricato in macchina e riportato a Macerata e stando a quanto trapelato potrebbe avere avuto un ruolo chiave nello smembramento del corpo.

LA SIRINGA
Gli inquirenti hanno portato in caserma e sentito diverse persone (pare cinque) che martedì 30 gennaio, giorno della morte della diciottenne romana, sarebbero state nella casa di Innocent Oseghale teatro dell'orrore o avrebbero avuto contatti telefonici. Interrogatori iniziati poco dopo le 14, andati avanti lentamente (per la necessità di affiancare un interprete) e proseguiti ad oltranza. Ieri verso le 21.30 dei militari sono saliti in caserma con delle pizze: chiaro segnale che l'attività sarebbe andata avanti fino a tarda notte. I carabinieri ipotizzano dunque che Pamela sia stata vittima della ferocia del branco. I dubbi non mancano. Per esempio: perché Oseghale ha fatto solo il nome di Desmond Lucky? Quando Pamela è salita in casa, c'erano già altri nigeriani? E poi c'è un giallo. Il buco trovato sul braccio della diciottenne è il segno di un'iniezione di eroina o un tentativo di depistaggio dopo l'omicidio? Da accertare anche se sia stata consumata una violenza sessuale.
L'appartamento al civico 124 di via Spalato era abitato solo da Oseghale, accusato di omicidio, occultamento e vilipendio di cadavere, dopo che la moglie e la figlia piccola erano state trasferite in una comunità. Secondo i vicini, però, in quella mansarda ci sarebbe stato spesso un andirivieni di connazionali del nigeriano, in particolare tre o quattro persone. Tra i sentiti ci sarebbe un giovane che abita in un appartamento di via Ferrucci, la stessa via in cui lo scorso giugno un richiedente asilo di 23 anni si era suicidato buttandosi dalla finestra dal quarto piano. Il nigeriano è stato condotto in caserma e sentito per diverse ore. Un connazionale è stato invece raggiunto ieri pomeriggio dai carabinieri alla stazione della metro Moscova a Milano. Era con la moglie e sembra che stesse fuggendo in Svizzera, la sua dovrebbe essere la posizione più grave. Sarebbe troppo presto per parlare del macellaio, colui che ha fatto a pezzi il corpo di Pamela, ma i militari hanno sentito anche altri connazionali. Tutte le persone portate in caserma, come sottolineato dal procuratore Giovanni Giorgio, sono state sentite come informate sui fatti. Questo almeno fino a ieri notte. Fino a quando cioè, i carabinieri negano provvedimenti di fermo. Giovedì intanto sono iniziati i rilievi dei Ris a Roma sugli abiti della giovane. La svolta nelle indagini è arrivata dopo i primi accertamenti informatici eseguiti dagli inquirenti sui quattro telefoni, due pc e il tablet sequestrati a Oseghale e Lucky.

IL LAVORO
I militari e l'analista forense Luca Russo, esperto in indagini informatiche, hanno iniziato a verificare i dati contenuti nei supporti tecnologici. Gli esperti stanno esaminando cellulari e Pc dei due indagati per accertare i contatti telefonici, le chiamate, i messaggi, gli accessi ad Internet e i contatti avuti in rete, compresi video e foto realizzati o scambiati. Per quanto riguarda il traffico telefonico, mentre il reparto operativo ha avviato gli esami sui tabulati, Russo si è incentrato sull'analisi delle celle telefoniche agganciate dai cellulari delle persone finite nel mirino degli inquirenti. Un lavoro difficilissimo perché condotto su una porzione di territorio in cui il traffico telefonico è intensissimo. L'avvocato di Lucky, Gianfranco Borgani, continua a sottolineare l'estraneità del proprio assistito alle accuse: «Nei suoi confronti - dice - non è stata chiesta alcuna misura, non è stato visto né dai testimoni né dalle telecamere. Lui nega anche di aver ceduto droga a Pamela».

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