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di Luca Cifoni

Si scrive flat tax, si legge aliquota massima

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Lunedì 22 Gennaio 2018, 18:47 - Ultimo aggiornamento: 23 Gennaio, 16:01
Sono mesi che si parla della flat tax, ovvero l'ipotesi di calcolare l'imposta sul reddito delle persone fisiche (ed eventualmente altri tributi) con un'unica aliquota, fissata al 25 per cento (secondo la proposta dell'istituto Bruno Leoni), oppure al 23 (come indicato da Silvio Berlusconi in campagna elettorale) o ancora più in basso. La discussione si è concentrata - oltre che sull'ingente perdita di gettito per lo Stato e quindi sulle modalità per compensarla - sulla mancata progressività di questa impostazione: a detta dei critici non rispetterebbe quanto richiesto esplicitamente dall'articolo 53 della Costituzione per il sistema fiscale nel suo complesso, ovvero che al crescere del reddito l'imposta cresca in modo più che proporzionale. I sostenitori dell'aliquota piatta hanno risposto spiegando che la progressività sarebbe comunque garantita da un sistema di deduzioni o detrazioni in grado di applicare ai redditi più bassi un prelievo effettivo minore di quello teorico dell'aliquota unico, e via via crescente fino ad una certa soglia di imponibile. La replica è assolutamente fondata sul piano tecnico, anche se poi naturalmente una soluzione di questo tipo andrebbe valutata in concreto in tutti i suoi dettagli applicativi.

Dunque si può riconoscere che il problema della progressività non si pone, almeno non in modo macroscopico. Ma proviamo a guardare la cosa da un altro punto di vista. Nell'attuale Irpef ci sono cinque aliquote, la più bassa è al 23 per cento la più alta (se l'imponibile supera i 75 mila euro) al 43. Ora salta subito all'occhio che il 25 per cento come aliquota massima è molto più bassa di quella attuale. E anche, possiamo aggiungere di quelle applicate Germania, Francia e Regno Unito (45 per cento in tutti e tre i casi) o persino negli Stati Uniti, dove la recentissima riforma l'ha fata scendere dal 39,6 al 37 per cento. Va detto che in tutti i casi citati queste aliquote scattano a un livello di reddito più alto rispetto all'Italia, dai 154 mila euro circa della Francia ai 500 mila dollari degli Usa. Ma allora ci si potrebbe chiedere: per raggiungere l'obiettivo di abbassare il prelievo sui redditi medi o anche medio-alti è necessario ridurlo così tanto su quelli alti e altissimi? La flat tax andrebbe discussa anche sotto questo punto di vista.

Un altro argomento normalmente citato a favore dell'aliquota unica riguarda l'effetto di semplificazione che ne deriverebbe. Se si intende dire che un sistema con una sola aliquota è più semplice di uno che ne abbia cinque o sette (quante ce ne sono negli Stati Uniti) il ragionamento apparentemente ovvio ha invece senso fino a un certo punto: ad esempio dato l'input del reddito imponibile non sarebbe comunque agevole nalla maggior parte dei casi calcolare mentalmente l'imposta come output data la necessità di applicare deduzioni o detrazioni per la progressività. Se invece la semplificazione consiste in senso più ampio nel disboscare drasticamente l'attuale giungla di agevolazioni fiscali in contemporanea con l'introduzione della flat tax allora la differenza potrebbe essere sostanziale. Non bisogna dimenticare però che le tax exprenditures incidono in modo non trascurabile sull'effettiva imposta versata dai contribuenti: ad esempio per un contribuente con imponibile di 25 mila euro l'anno l'eventuale cancellazione della detrazione sugli interessi dei mutui, che oggi vale fino a 760 euro l'anno, farebbe aumentare l'aliquota media di oltre 3 punti.
 
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