Alina Polyakova: ​«La Russia punta su forze anti sistema per rompere il fronte sanzioni»

Alina Polyakova: «La Russia punta su forze anti sistema per rompere il fronte sanzioni»
di Flavio Pompetti
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Sabato 13 Gennaio 2018, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 14 Gennaio, 09:47
Il rapporto: Kremlin Trojan Horse 2 sulla manipolazione russa delle elezioni altrui e sulla diffusione di fake news, è la base delle ripetute denunce statunitensi del rischio in atto in Italia. La ricerca originale non contiene però fonti originali ed autonome, ma si basa su intelligence raccolta da agenzie pubbliche e private che operano in Europa. Lo dice Alina Polyakova che ha coordinato il lavoro da Washington per l’Atlantic Council, prima di passare al think tank Brookings Intitution dove oggi continua a studiare i rapporti tra Usa ed Europa.

Perché i russi sarebbero interessati in modo particolare alla Lega e al M5S in Italia, come si legge nel rapporto?
«Perché puntano sulle forze politiche anti-establishment che promettono di indebolire gli equilibri esistenti. La Russia vuole aprire una crepa all’interno della Nato, e soprattutto cerca alleati disposti a rompere la morsa delle sanzioni che hanno colpito l’economia del paese dopo l’invasione della Crimea. I contatti con i due gruppi italiani hanno prodotto almeno una possibile apertura su questo fronte».

E cosa hanno da guadagnare i due partiti italiani da questi contatti?
«Riconoscimento internazionale, e visibilità sugli organi di comunicazione russa. Non ci sono invece prove di un passaggio di denaro, o di contributi finanziari per il successo elettorale».

La Russia è il solo paese ad esercitare queste forme di manipolazione?
«Interventi di soft power sono impiegati da molti altri Stati intorno al mondo, nelle varie forme di promozione della propria immagine all’estero. La Russia va molto oltre su questa strada: il suo governo usa la pirateria degli hackers per inserirsi nel dibattito elettorale e disseminare falsa informazione. A volte finanzia gruppi politici e i loro media di riferimento, con lo scopo di stringere alleanze utili alla politica del Cremlino».

Durante la guerra fredda questo tipo di attività veniva definita propaganda.
«La propaganda era per lo più diretta agli Stati vassalli dell’impero sovietico, e aveva il compito di distorcere l’immagine dei paesi occidentali, dipingendola a tinte fosche. Lo “sharp power” invece (il potere forte) è dispiegato oggi in modo selettivo sui singoli paesi. Non ha più connotati ideologici e segue piuttosto gli interessi strategici del governo moscovita, ed ha un’efficacia di gran lunga superiore, in quanto è potenziato dall’uso dell’Internet».

A quale strategia rispondono le fake news?
«Sono fabbricate per esasperare tensioni già esistenti, e sono studiate ad arte per amplificare la polarizzazione nella società civile. L’importante non è tanto asserire una notizia falsa, la cui smentita prima o poi finisce per raggiungere le orecchie di molti elettori. Il vero obiettivo è spostare il centro del dibattito anche solo per un giorno, e distrarlo dai temi della politica per dirigerlo verso una conflittualità permanente». 

Gli elettori sono già così polarizzati e leggono solo le fonti che confermano i loro orientamenti. Siamo sicuri che le false notizie abbiano effetto sul voto?
«E’ impossibile acquisire certezze perché gli elettori non dichiarano cosa li ha convinti a votare in un certo modo, ma è possibile almeno osservare quanto successo le notizie false hanno nel deviare il dibattito politico, anche se solo per lo spazio di una giornata o due, e tenerlo lontano da polemiche che potrebbero essere imbarazzanti per un dato candidato. Alla base c’è sempre un area grigia, nella quale albergano sospetti già esistenti su una data persona. Guardiamo per esempio a Hillary Clinton, che è entrata nella corsa presidenziale con un bagaglio di critiche perché era considerata parte troppo ricca e potente. Le continue insinuazioni su illeciti della fondazione, mai provate in tribunale, hanno aggravato l’immagine di una figura politica fino a condurla alla sconfitta».
 
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