Uno Bianca, Fabio Savi trasferito a Milano nello stesso carcere del fratello

Uno Bianca, Fabio Savi trasferito a Milano nello stesso carcere del fratello
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Mercoledì 3 Gennaio 2018, 16:15 - Ultimo aggiornamento: 4 Gennaio, 09:53
I fratelli Fabio e Roberto Savi sono di nuovo vicini, nello stesso carcere. Due dei killer della banda della Uno Bianca, condannati all'ergastolo, che tra il 1987 e il 1994 uccise 24 persone e ne ferì oltre cento, da qualche mese sono entrambi nell'istituto penitenziario di Bollate, a Milano.

Fabio Savi, detto il «lungo», ha chiesto e ottenuto il trasferimento dal carcere di Uta (Cagliari) e ora si trova anche lui nella casa circondariale milanese dove il fratello Roberto era già detenuto. Da tempo Fabio Savi, 57 anni, chiedeva di poter scontare la sua pena in una struttura penitenziaria che permettesse di poter svolgere attività lavorative e per questo motivo ha inoltrato personalmente la richiesta di trasferimento dopo il parere favorevole degli assistenti sociali. La notizia è confermata dai legali dei due fratelli Savi, Fortunata Copelli che assiste Fabio e Donatella De Girolamo per Roberto. «Da quello che mi risulta non sono nella stessa sezione - dice l'avvocato Copelli - quindi non credo che si siano incontrati. Nel caso uno dei due avanzasse una richiesta di colloquio dovrà essere valutata dal direttore del carcere che poi nel suo ambito deciderà». 

«Fino ad ora i fratelli Savi non erano mai stati nello stesso carcere e devo dire che questa cosa non mi piace affatto, anzi mi preoccupa. Per noi parenti delle vittime è l'ennesima botta, che arriva dopo i permessi premio concessi all'altro fratello, Alberto, e a Marino Occhipinti». È sorpresa e sconfortata Rosanna Zecchi, presidente dell'associazione dei parenti delle vittime della banda della Uno Bianca.

Domani, intanto, si svolgerà la cerimonia commemorativa del 27/o anniversario dell'eccidio dei tre carabinieri (Otello Stefanini, Andrea Moneta e Mauro Mitilini), uccisi dai killer della banda la sera del 4 gennaio del 1991. «Sono perplessa, non me lo aspettavo, ma se la giustizia lo permette dobbiamo prenderne atto - continua Zecchi -. Certo è un dolore continuo, che si rinnova, sapere che queste persone colpevoli di terribili omicidi possano avere addirittura la possibilità di incontrarsi».




 
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