Quando l’eccellenza batte il degrado: ecco i luoghi dove Roma vince ancora

Quando l’eccellenza batte il degrado: ecco i luoghi dove Roma vince ancora
di Mario Ajello
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Lunedì 18 Dicembre 2017, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 19 Dicembre, 17:43

Il caso Spelacchio, il povero abete diventato rudere all’ombra del Campidoglio, riassume una storia più lunga di lui, che lo precede e lo sorpassa. E che racconta di un match tra l’eccellenza e il degrado, tra la cura e l’incuria, tra la capacità di sapere individuare, gestire e valorizzarle il bello (non è certo difficile: «Che cosa migliore di Roma?», diceva Ovidio) e l’indifferenza che non sa vederlo né maneggiarlo. Non tutto è Spelacchio in questa Capitale. Spesso è la gestione capitolina quella che, rispetto all’approccio più appropriato dei Beni Culturali o di altri enti o di privati che sovrintendono alle eccellenze di Roma, negli ultimi anni s’è mostrata inadeguata nel far splendere quegli splendori di cui abbiamo il primato. La sindrome Spelacchio, ossia abbandonare al proprio destino pezzi di città ben più pregiati e significanti di un albero di Natale, è purtroppo una componente cruciale del down-grading a cui Roma sottopone se stessa. E tuttavia, non sarà il negativo - per esempio la chiusura di un parco comunale come Villa Aldobrandini a cui fa da contraltare a poca distanza il crescente splendore di un altro gioiello cinquecentesco, Villa Medici - a prevalere sul positivo. Perché Roma ha in se stessa i modelli da imitare e da cui farsi contagiare. 
 

 


TRA ANTICO E MODERNO
Come mai il Maxxi, il colosso disegnato da Zaha Hadid e diventato una piazza della cultura, tra grande arte e pop, non è minimamente comparabile con la mestizia dei progetti mal condotti e non riusciti del suo parente Macro, che tra l’altro a breve chiuderà per un periodo e dopo lo stallo si spera che imboccherà una via proficua e non confusionaria? La ragione sta nel fatto che due mani diverse guidano queste due istituzioni. Il Macro è capitolino. Il Maxxi è una fondazione con vari soci, tra cui il ministero dei Beni Culturali. Ma la ricetta anti-declino l’abbiamo in casa. Basta attenersi ad essa. Se infatti nello spazio comunale di Piazza Argentina i resti del Senato romano dove venne accoltellato Giulio Cesare emanano sporcizia, soffrono di sfascio, sono ricettacolo di inciviltà tra gatti, topi e barboni, spostandosi invece ad Ostia antica si può vedere come è appena rinata grazie allo Stato e viene rilanciata con i nuovi percorsi espositivi e con una capacità di accogliere e di raccontare che pochi posti al mondo possono vantare. 

Il viaggio nella convivenza tra cura e incuria, andando oltre Rigoglio e Spelacchio, può fare tappa in due quartieri simbolo: il Flaminio e l’Eur. Qui troviamo lo Stadio Flaminio, opera di quel genio dell’architettura moderna che fu Pier Luigi Nervi, ridotto a dormitorio per zingari, a orinatoio per clochard, a selva di ruggine e sterpaglia nell’attesa che le infiltrazioni di umidità facciano crollare gli spalti. E il Comune assicura che i soldi per salvare l’impianto ci sarebbero ma tutto continua a restare lo squallore che è. Poi si attraversa il Tevere tramite il Ponte della Musica - gioiello nuovissimo e già guastato nelle piazzole sottostanti da graffiti orrendi, materassi rotti e teppistelli minacciosi che spacciano o insultano - e deviando un po’ a destra ci si trova allo stadio dei Marmi. Che è del Coni, sarebbe facile distruggere le sue statue perché è tutto all’aperto, ma ormai è diventato un luogo intoccabile nella sua perfezione, anche in virtù della celebre teoria delle “finestre rotte”. Secondo cui l’ordine è un deterrente per lo sfascio e quanto più un bene cittadino si presenta curato e decoroso tanto meno attira atti vandalici. All’Eur, avrebbe sede il Museo comunale della civiltà romana, chiuso e con scarse speranze di resurrezione, ma per contrasto ecco nella stessa zona il Museo delle civiltà, che ha inglobato anche il Museo etnografico Pigorini, e ricomincia la sua storia come uno dei fiori all’occhiello dell’Urbe consapevole di se stessa e del suo ruolo nel mondo. 

ALTRE SFIDE
Sempre all’Eur, il Palazzo della civiltà del lavoro, il cosiddetto Colosseo quadrato, può contare sulla gestione Fendi che lo ha restituito all’orgoglio dei romani. Che non può esercitarsi per esempio - ma guai arrendersi in questa guerra civile contro lo sfascio - nell’ex meraviglioso complesso Angelo Mai. E’ nel cuore del Rione Monti. Ha gli antichi cortili sopraelevati, il portico che s’affaccia su uno spazio somigliante a una piazza sudamericana da romanzo di Garcia Marquez e insieme conserva l’atmosfera della Roma più segreta. Ma è chiuso da otto anni, tranne che per topi, gabbiani, randagi d’ogni razza canina e non, pozzanghere, umidità che ha scrostato le pitture e sta sfondando le soffitte. L’ha acquistato il Comune nel 2004, è stato occupato, sgomberato, rioccupato nel 2009, ripreso dal Campidoglio nel 2016, e ora gli spetta qualche porzione dei 12 milioni di euro (per le scuole) nel bilancio capitolino 2017-2019, ma non si sa se i soldi si materializzeranno e che funzione avrà nel caso dovesse averne una - scuola? galleria d’arte? casa del turismo? biblioteca? niente? - questo mastodonte all’interno di uno dei rioni più pregiati di Roma. Colosseo quadrato, sì. Modello Mai, mai! E dovrà ispirarsi al Palalottomatica per rialzarsi, non nel senso architettonico ma nella valutazione del proprio ruolo e del proprio capolavoro, il Palazzetto dello sport - ancora Nervi - che rispetto al fratello maggiore, gestito dall’Ente Eur, sembra sempre più pallido e spaesato tra le erbacce che gli spuntano intorno, il grigiore della sua cappa e la sporcizia dei muri esterni. 
Ci si può fermare qui o si può andare oltre in questo viaggio tra figli e figliastri della Capitale. Ma di sicuro, la forza della storia è dalla parte di Roma e in hoc signo vinces.
 

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