Stalin e i nemici della rivoluzione: quattro condanne “esemplari”

Stalin e i nemici della rivoluzione: quattro condanne “esemplari”
di Carlo Nordio
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Sabato 16 Dicembre 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 18 Dicembre, 15:15
Tra il 1936 e il 1938 si svolsero a Mosca tre processi quasi uguali. Stesso tribunale militare rivoluzionario, stesso accusatore, il noto Andrej Wisinskji, e stesso ispiratore, Giuseppe Stalin. L’incolpazione era quella del famigerato articolo 58 della Costituzione Russa: «Attività controrivoluzionarie». Gli imputati erano tutti alti esponenti del partito comunista, civili e militari. Molti erano stati protagonisti della Rivoluzione di Ottobre, compagni e amici di Stalin. Ma il dittatore non voleva concorrenti. Sotto il pretesto del deviazionismo ideologico mirava essenzialmente a sbarazzarsi di chiunque potesse insidiarne la carica o semplicemente appannarne l’immagine.

Così mandò alla sbarra, e poi al patibolo, prima Lev Kamenev e Grigorji Zinoviev, già suoi colleghi nella troika regnante; poi Karl Radek, che aveva contribuito ad eliminare i primi due, e infine Nicolaj Bucharin, che li aveva accusati tutti e tre. Bucharin avrebbe potuto rivolgere a Stalin le stesse tremende parole del fantasma di Buckingam a Riccardo III: «Sono stato l’ultimo a sbarazzarti dei tuoi nemici, e l’ultimo a subire la tua tirannide». Stalin si comportò come lo sciancato re Shakespeariano: sorrise e rincarò la dose: i condannati durante questo “Grande terrore” furono migliaia.

Molti finirono sulla forca, altri furono ammazzati in cella, altri semplicemente sparirono. L’aspetto più curioso di questi processi risiede nelle confessioni rese dagli imputati. Erano tutti uomini di ferma fede e di inflessibile coraggio, capaci di uccidere e di morire per l’Idea. Avevano spavaldamente rischiato la vita e la Siberia durante la loro attività rivoluzionaria. I loro compagni ( i pochi sopravvissuti) avrebbero più tardi dimostrato di non temere le sevizie e gli stermini della Gestapo. Eppure cedettero. Peggio: chiesero di essere puniti per il loro deviazionismo traditore. Sentite Kamenev, le sue parole valgono per tutti gli altri: «Questa è la terza volta che mi trovo davanti a una corte proletaria. Due volte la mia vita fu risparmiata, ma vi è un limite alla magnanimità del proletariato. Questo limite è stato raggiunto». Raramente la vittima ha leccato con tanta umiltà la mano che la percuoteva.

Come questo sia potuto accadere è in mistero. O meglio è un mistero per la nostra cultura secolarizzata, che ha perduto la nozione della fede e della sua potente energia. Perché il comunismo fu una fede. Forse l’ultima fede viva e vitale di un Occidente che, scristianizzandosi, mirava a nuove certezze, garantite da una chiesa magari spietata, ma certamente consolatoria nella sua rassicurante promessa di un radioso avvenire materiale. Questi rocciosi rivoluzionari , impavidi davanti al nemico, tremavano come fanciulli davanti al vecchio compagno che li accusava di eresia. 

MINACCE
Ci furono, naturalmente, pressioni insopportabili e torture inumane. Agli imputati si prospettò la deportazione e la morte della moglie e dei figli. Con Bucharin queste minacce furono probabilmente decisive, e la vedova ne ha reso fedele testimonianza. Tuttavia nemmeno questo spiega l’atteggiamento complessivo degli imputati, o quantomeno non spiega la loro condiscendenza quasi voluttuosa verso l’espiazione del patibolo. L’unica risposta può trovarsi, ripetiamo, nella potenza della nuova religione, nel tormento di un indirizzo politico tradito che, nella pervertita visione del fanatico, diventa persino dramma morale. Così, quel coraggio che consentiva di affrontare con un sorriso il plotone di esecuzione zarista, si dissolveva davanti alla scomunica del sommo sacerdote. E Stalin era insieme Papa e Imperatore, reggitore assoluto in nome di una Verità rivelata.

Per chi non credesse alla divinizzazione di questo miserabile tiranno, sarebbe utile una rilettura delle esaltazioni celebrative in suo onore: «O grande Stalin - scrisse poeticamente la Pravda - tu che creasti l’uomo, tu che fecondasti la terra, tu che fai vibrare le corde musicali..». E il grande Prokoviev: «Stalin io dico all’Universo, e non ho bisogno di aggiungere altro. Tutto è racchiuso in quel nome meraviglioso, il partito, l’amore, l’immortalità, tutto». Fino alla sua scomparsa: «Gloria eterna - sviolinò l’Unità – all’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e il progresso dell’umanità.» C’è da rabbrividire davanti a tanta ottusità che contaminò tanti intellettuali europei. 

GUARDIA
Ma torniamo ai processi. Alla fine degli anni trenta, avevano eliminato praticamente tutta la vecchia guardia bolscevica, comprese le alte gerarchie militari. Peggio di un crimine, fu un errore, che costò all’URSS una disastrosa impreparazione nell’estate del ‘41, davanti alle truppe di Hitler. La guerra portò una tregua, perché l’unità nazionale era più importante della stretta osservanza ideologica. Ma i processi ripresero con la pace, soprattutto nei paesi dell’Europa dell’Est, schiavizzati dall’occupazione comunista. Finalmente, con l’avvento di Kruschev, che rivelò al mondo i crimini del predecessore, finirono quasi del tutto. Quella che , con Stalin era stata pura lotta di potere, si trasformò in disputa ideologica, che vide contrapposte le varie anime del marxismo. Anche qui, vigorosi intelletti dispersero le loro energie in futili pedanterie, assimilabili a quelli che, quasi duemila anni prima, avevano diviso nestoriani, eutichiani, monofisiti, ariani e marcioniani. Quando le religioni sono forti, e solo allora, suscitano aspri dibattiti e violente eresie. 

CROLLO
Con il crollo del comunismo iniziò la lenta e difficile opera di revisione. Alla fine del secolo scorso oltre 25000 vittime delle purghe staliniane erano state riabilitate. Un’opera postuma che per noi non significa nulla, ma che per alcuni dei loro eredi spirituali costituì l’unico conforto prima di morire. La vedova di Bucharin può anche sembrare commovente nella sua ultima rievocazione del poveretto cui era stato restituito l’onore del partito. Ma noi non dobbiamo dimenticare che anche queste vittime erano state, a loro tempo, spietate esecutrici di omicidi e di soprusi, e che in nome di un’ideologia maledetta avevano contribuito allo sterminio di milioni di cosiddetti nemici del popolo, soprattutto preti e contadini. Per Koniev, Kamenev e compari vale la cinica ma geniale battuta di Montanelli, che teneva sulla scrivania un busto di Stalin. A che gliene chiedeva la ragione rispondeva: «Un uomo ammirevole. Ha ucciso più comunisti lui di chiunque altro».
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