Alfano e Pisapia, il passo indietro che spiazza Renzi

Alfano e Pisapia, il passo indietro che spiazza Renzi
di Nino Bertoloni Meli
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Giovedì 7 Dicembre 2017, 07:56 - Ultimo aggiornamento: 13:23

Pisapia lascia, Alfano non si candida, e per il Nazareno è tutto da rifare. O quasi. Sicuramente la coalizione tanto agognata, e perseguita anche a costo di una legge elettorale che ha lasciato morti e feriti sul campo, non c'è più. Tanto che Arturo Parisi, prodiano di ferro e fondatore del Pd, manda sms del tipo: «Dobbiamo toglierci gli scarpini da città e indossare gli scarponi chiodati di montagna, per un sentiero faticoso, molto diverso da quello previsto dall'attuale legge elettorale». Per alcuni un rebus, ma una cosa è chiara: Prodi e prodiani non benedicono alcuna operazione di divisione, se anche considerano Matteo Renzi non estraneo ad alcuni esiti attuali, certamente non vedono bene, di più, aborrono, l'operazione Grasso lanciata a Roma domenica scorsa.

LA BREVE STAGIONE
Lapidario il commento di Renzi, colto di sorpresa, con i suoi: «Finisce una lunga telenovela, ora pensiamo alla campagna elettorale». Si conclude come i più prevedevano la breve stagione del rientro politico di Giuliano Pisapia. L'«uomo tormentato», come lo ha definito D'Alema, ha riunito i fedelissimi per l'ultima volta in un albergo romano, ha sentito i pareri, ha capito come e dove andavano a parare, e a un certo punto ha scandito: «Prendo atto che ci sono sensibilità diverse», quindi ha ribadito che non si candiderà, ha dato un'altra botta al Pd, «confronto impossibile», accusandolo di non aver voluto mettere subito in calendario la legge sullo ius soli e ha di fatto sciolto Campo progressista.

Ognuno per la sua strada. E così sarà: gli ex Sel come Ferrara e Furfaro come figliol prodighi ritornano con i vecchi compagni ora con Grasso; tutti gli altri, i centristi di Tabacci, Sanza e Monaco, i verdi, il sindaco cagliaritano Zedda, Smeriglio e il suo nutrito gruppo romano che sostiene Zingaretti alla regione, sono adesso in forzata marcia verso il Pd. In avvicinamento a Liberiuguali, se non già alla mèta, viene data Laura Boldrini. Qualche esegeta machiavellico ha interpretato il pressing di Liberiuguali su Pisapia, consci che il filo si sarebbe spezzato, come una manovra volta a stoppare sul nascere l'ipotesi di una presidente della Camera che si sarebbe schierata con Campo progressista assumendone la leadership al posto di Pisapia.

«Stabilito che Renzi ha ormai capacità coalizionale pari a zero, io comunque con Grasso e gli altri non ho proprio nulla da spartire», spiega Bruno Tabacci, «vuol dire che d'ora in poi farò più chilometri in bicicletta», chiosa Tabacci ricordando la sua fama di grimpeur. «Qui è tutto rovesciato, vince chi ha torto e perde chi ha ragione», dice a sua volta Franco Monaco, a-renziano e prodiano: «Il Pd si è condannato all'isolamento e la sinistra si è rassegnata al minoritarismo». Resta che la coalizione di centrosinistra, al momento, è monca a sinistra. «Siamo molto preoccupati, siamo sul ciglio del burrone», l'Sos dai toni tragici lanciato dalla sinistra interna dem. Qualcuno che ha visto sondaggi e proiezioni spiega che «adesso, da soli, ci danno vincenti in 42 collegi, ma alleati con Mdp e gli altri ne avremmo preso 112». Che è proprio la ragione per la quale D'Alema e Bersani hanno voluto fare la lista Grasso.

FATTORE CITTADINANZA
Al Pd respingono all'unisono la tesi che causa della rottura sia stato lo Ius soli. «Politicamente era nell'aria da qualche tempo, e alla fine ognuno ha sentito odore di casa ed è voluto tornare a casa, complice il proporzionale», la tesi di Lele Fiano. Altri dem fanno notare che lo ius soli rimane obiettivo della legislatura, «ma forzare per metterlo subito in calendario avrebbe voluto dire né più né meno che andare alla crisi di governo, viste le profonde divisioni e con l'opposizione e con settori di maggioranza». Nella classica giornata da sciame sismico, dopo la rottura a sinistra arriva anche l'incrinatura pesante al centro. Con una lettera «al presidente del Consiglio» (e non a Renzi), Alfano annuncia che salta un giro, non si candida alle prossime elezioni «ma non abbandono la politica, c'è una vita fuori dal palazzo e io me ne riprendo un pezzo».

C'è l'amarezza personale e ci sono i dissapori, se non di più, con Renzi. Ma anche qui, c'è la politica: Ap era e rimane divisa sulle prospettive. E il Pd? Nessuno s'è azzardato a parafrasare il togliattiano «Pisapia se n'è ghiuto e soli ci ha lasciati».

Amarezza e dispiacere si sono sprecati all'indirizzo dell'ex sindaco di Milano, lo hanno fatto Fassino, Richetti, Zanda, Pollastrini. Più determinata Maria Elena Boschi: «Ci dispiace, ma il Pd non può inseguire tutti. Vedrete, prendremo il 30% e tanti collegi». Il Pd va avanti con la coalizione di centrosinistra, ci sono i radicali, i verdi, i socialisti, oltre ai centristi.

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