Papa Francesco: «Ho pianto per i Rohingya». Monito sulle armi nucleari: «Siamo al limite»

Papa Francesco: «Ho pianto per i Rohingya». Monito sulle armi nucleari: «Siamo al limite»
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Domenica 3 Dicembre 2017, 01:25 - Ultimo aggiornamento: 4 Dicembre, 15:34

VOLO PAPALE La parola rohingya «l'avevo già pronunciata a Roma», nel viaggio in Asia mi interessava che passasse il messaggio, «che è passato», e «non ho negoziato la verità». Così il Papa, in volo da Dacca a Roma al termine del suo 21.mo viaggio internazionale, che era stato in parte dominato dal consiglio ricevuto dalla Chiesa locale di non usare la parola «rohingya», che in Myanmar vengono chiamati bengala del Rakhine e sono una minoranza islamica, senza cittadinanza.

Poi venerdì papa Francesco ha incontrato 16 rohingya profughi a Cox Baza, in Bangladesh, e ha spiegato che «la presenza di Dio oggi si chiama anche rohingya». In volo ha poi raccontato i suoi sentimenti e anche alcuni retroscena dell'incontro, per esempio che ha pianto quando li ha salutati uno ad uno, ma «non volevo che si vedesse» e ha fatto in modo che restassero con i leader religiosi, mentre li volevano allontanare subito dopo aver parlato con il Papa.

«Non era la prima volta che usavo la parola - ha detto papa Francesco a chi gli chiedeva perché la avesse pronunciata solo ieri - già si sa quello che pensavo, la è domanda molto interessante perché mi porta a riflettere su come io cerco di comunicarmi, per me la cosa più importante è che il messaggio arrivi, e per questo a volte serve cercare di dire le cose passo a passo, e ascoltare le risposte affinché arrivi il messaggio». Ha fatto l'esempio di due preadolescenti che si parlano in modo aggressivo, si «buttano le parole in faccia» e «la porta si chiude. Ma a me interessa questo messaggio arrivasse, per questo ho visto che se nel discorso ufficiale avessi detto quella parola», si sarebbe chiusa la porta, «ma - ha sottolineato - ho descritto la situazione, ho parlato di cittadinanze e diritti, per permettermi nei colloqui di andare oltre: son rimasto molto, molto soddisfatto dei colloqui che ho potuto avere, non ho avuto il piacere di battere pubblicamente la porta sul naso», «fare pubblicamente una denuncia, ma ho potuto però dire nei colloqui, così il messaggio è arrivato, tanto che tutti i giorni se ne è parlato, e poi ieri c'è stato» l'incontro con i rohingya.

«La comunicazione - ha aggiunto - è importante, tante volte anche nei media, non voglio offendere, ma con aggressività sulla porta il messaggio non arriva». A proposito dei suoi sentimenti nell'incontro con i 16 profughi rohingya, ieri dopo l'incontro interreligioso a Dacca, ha spiegato che l'incontro non era programmato, «sapevo avrei incontrato i rohingya, non sapevo dove, ma che li incontrassi era condizione del viaggio», si sono preparati «i modi, dopo tante gestioni» (allude al coinvolgimento di governo e Caritas anche nella gestione dei campi profughi, ndr). Ha quindi ricordato che il Bangladesh, paese piccolo e povero, ospita settecentomila profughi: «Questo è grande, è un esempio d'accoglienza, un paese piccolo e povero ha ricevuto settecentomila persone. Allora penso a paesi che chiudono le porte, dobbiamo essere grati per l' esempio che ci hanno dato».

«Il governo - ha aggiunto il Papa - deve muoversi in campo internazionale perché sono rifugiati, ma alla fine sono venuti, alcuni erano spaventati». Il dialogo,la preghiera interreligiosa, ha spiegato, ha preparato i cuori , «noi eravamo religiosamente molto aperti, io almeno mi sentivo così ed è arrivato il momento per loro che venissero a salutare, in fila, quello mi è piaciuto, ma poi volevano cacciarli via subito e io lì mi sono arrabbiato e ho sgridato un pò: sono un peccatore e ho detto tante volte la parola rispetto, rispetto, fermate, e loro sono rimasti lì». Dopo aver sentito le loro storie una per una, grazie all'interprete, «non potevo lasciarli andare senza dire una parola, ho chiesto il microfono ho cominciato a parlare, non ricordo cosa ho detto, ma so che a un certo punto ho chiesto perdono, cosa ho sentito? Io piangevo, cercavo che non si vedesse, loro pure piangevano».

Ha raccontato poi di aver sollecitato una preghiera all'imam, loro hanno pregato. Visto tutto il trascorso - ha rimarcato il Papa - ho sentito che il messaggio è arrivato«, è arrivato non solo qui, ha detto apprezzando il servizio di un Tg italiano dedicato ai rohingya.  Il messaggio è arrivato - ha ripetuto - voi avete visto oggi le copertine dei giornali, tutti hanno recepito il messaggio e io non ho sentito alcuna critica, forse ci sono, ma io non l'ho sentita«. In due ulteriori risposte sul tema rohingya il Papa ha detto di aver accettato di parlare con il capo dell'esercito generale Ming Hlaing perché lo aveva chiesto e non voleva chiudergli la porta in faccia. Distinguo tra due tipi di incontri, - ha detto - io che io sono andato a trovare la gente, e incontri nel quale io ho ricevuto. Se chiedi di parlare vieni, parlando non si perde nulla si guadagna sempre, è stata bella una conversazione e non potrei dire perché è stata privata, ma io non ho negoziato la verità, ma ho fatto in un modo che lui capisse un pò che una strada come era nei tempi brutti rinnovata oggi non sarebbe l'ideale, e credo che il messaggio è passato.

Interpellato sull'anticipo del colloquio chiesto dal generale, e che ha fatto sì che egli vedesse il Papa prima che potesse farlo la leader democratica Aung San Suu Kyi, papa Francesco ha spiegato che il generale doveva partire per Pechino, e il Papa ha accettato lo spostamento del colloquio.

L'unica domanda dei giornalisti al seguito del Papa non legata al viaggio è stata quella sulle armi nucleari. 
«Mi pongo la domanda non come magistero pontificio, ma la domanda che si pone un papa, se la potenza distruttiva delle nucleare sia tale da mettere in questione la sua «liceità» anche in caso di difesa».

Così il Papa sul fatto se la posizione da lui recentemente espressa sul nucleare come deterrente di difesa sia cambiata rispetto a quella di Giovanni Paolo II, e se sì, se lo sia a causa anche delle tensioni tra i presidenti Trump e Kim. «Io preferirei - ha detto rispondendo al giornalista - che si facessero prima domande sul viaggio, ma faccio una eccezione. Cosa è cambiato? È cambiata la irrazionalità, mi viene in mente la Laudato si' sulla custodia della creazione». Dal tempo di papa Wojtyla sono passati 34 anni e «nel nucleare in 34 anni si è andato oltre, oltre, e oggi siamo al limite: questo si può discutere, è la mia opinione, siamo al limite della liceità di avere, usare armi nucleari perché oggi con un arsenale nucleare così sofisticato si rischia la distruzione dell'umanità o almeno di gran parte». 

«Siamo al limite - ha continuato - e mi faccio questa domanda non come magistero pontificio, ma la domanda che si fa un Papa è: oggi è lecito mantenere gli arsenali nucleari come sono? Oggi per salvare il creato, l'umanità, non è necessario tornare indietro?».

Poi ha citato Romano Guardini, circa la cultura e la scienza, e i limiti al progresso. «Pensiamo a Hiroshima e Nagasaki, decenni fa, - ha detto - la loro distruzione, e anche questo succede quando anche nella energia atomica non si riesce ad avere tutto il controllo, pensate agli incidenti dell' Ucraina, a questo tornare alle armi, che se nucleari sono per vincere ma distruggendo. Io dico, siamo al limite della liceità».


Il volo papale, operato con un Boeing B777 della Bangladesh Airlines, è arrivato alle 21.40 di sabato all'aeroporto di Fiumicino.

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