Non si tratta di disagi, al di là delle buone o più spesso delle flebili ragioni di chi sciopera, dal numero e dalla consistenza dei sindacati che dichiarano l'arresto del servizio pubblico: si tratta di danni incalcolabili e gravissimi per le persone e per la collettività, pedaggi pesantissimi che ciascuno deve affrontare per risolvere altrimenti, con fatica, l'obbligo di spostarsi, di andare e tornare dal lavoro, di far fronte a impegni inderogabili, assai costosi.
Domanda numero due: la pressione esercitata sulla controparte viene percepita, accolta, sblocca lo stallo delle trattative, accoglie le richieste, è davvero l'ultima e estrema possibilità di far valere le proprie ragioni? No, statisticamente non avvicina le parti. Ecco allora che si ha l'impressione che l'assenza prolungata imposta con sconcertante frequenza di un servizio pubblico fondamentale sia una specie di coazione a ripetere un gesto di forza, là dove ogni battaglia sindacale non scioglie i nodi della contesa. L'arma dello sciopero ferisce ma è spuntata, incide la carne viva della città ma non guarisce dal male, anzi lo aggrava. La medicina peggio della malattia.
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