Rendite di posizione/Quegli egoismi che penalizzano i più giovani

di Paolo Balduzzi
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Mercoledì 22 Novembre 2017, 00:17 - Ultimo aggiornamento: 00:24
Il primo risultato certo della trattativa sulle pensioni è la rottura dell’unità sindacale. Non che l’unità sia un dogma irrinunciabile, anzi.

L’emersione di posizioni diverse (“articolate”, per usare le parole del ministro Poletti) rende giustizia alla ricchezza di un dibattito in cui invece l’assunzione di punti di vista estremi e monolotici appare una mossa decisamente più politica che pragmatica. 

La rottura delle trattative da parte della Cgil, quindi, e la conseguente indizione di una mobilitazione per il prossimo 2 dicembre, risponde più a una logica di rendere esplicita la propria opinione invece che a quella di trovare una soluzione. La frattura è probabilmente frutto del persistere di una antica - ma naturalmente legittima - impostazione che vede nell’aumento della spesa pubblica la risposta a ogni tipo di problema distributivo. Secondo questa logica, ogni maggiore richiesta va soddisfatta ricorrendo a maggiore spesa pubblica. Come se le risorse fossero infinite e come se, soprattutto, non ci fossero degli spazi per spendere meglio le risorse esistenti.
 
L’ingiustizia generazionale sembra non essere una preoccupazione per i fautori dell’aumento indiscriminato della spesa pubblica;si tratta ovviamente di un problema che va ben al di là della spesa pensionistica (le sfortunate e recenti esperienze di spending review ne sono la prova). Si tratta, dunque, di un problema generale ma che nella spesa pensionistica trova la sua principale roccaforte.Per capire anche l’aspetto quantitativo del problema, basti pensare che ogni anno vengono erogate circa 17 milioni di pensioni previdenziali a poco più di 16 milioni di persone su una popolazione di circa 60 milioni (dati Inps 2016). 

Più di un italiano su quattro, quindi, è percettore di almeno un trattamento previdenziale. La spesa complessiva, sempre per i soli trattamenti previdenziali, si aggira intorno ai 250 miliardi di euro, su un totale di spesa pubblica corrente al netto degli interessi di 700 miliardi. Se consideriamo anche la spesa per assistenza, scopriamo che il sistema pensionistico ingloba circa il 40% di tutta la spesa pubblica corrente primaria. È quindi evidente che il problema è almeno duplice. Da un lato, il continuo aumento di spesa per pensioni riduce l’ammontare di risorse a favore di altri impieghi correnti, quali forme di assistenza ai giovani, ai disoccupati, alla maternità, alle famiglie, e così via. Dall’altro, ogni privilegio mantenuto dell’esistente sistema previdenziale si ripercuoterà su rendimenti inferiori per le pensioni future. 

Di fronte a uno scenario di questo tipo, peraltro, al tavolo tra governo e sindacati non si stava discutendo di riduzione della spesa previdenziale ma della dimensione del suo aumento (qualche centinaio di milioni contro qualche miliardo). A chi giova dunque questa rottura? Di certo non al governo, che si trova nella difficile posizione di approvare una legge di bilancio che rispetti le raccomandazioni e gli obiettivi determinati a livello europeo mentre la campagna elettorale ormai incombe. Ma forse nemmeno al sindacato, che ha spesso trovato nella sua unità la forza delle sue migliori rivendicazioni. E che uscendone in questo modo, affidando cioè la soluzione alle forze presenti in Parlamento, sembra quasi anche abdicare al suo tradizionale ruolo di parte sociale. 

Viene dunque da chiedersi quanto sarà isolata la Cgil in questa sua battaglia. Ciò dipenderà anche da come il sindacato saprà presentare la sua pozione agli iscritti e al Paese. La maggior parte dei tesserati alla Cgil, ormai da qualche anno, è costituita infatti da pensionati. Facile quindi capire perché le sue posizioni siano più ancorate alla difesa del passato rispetto alla ricerca di soluzioni e opportunità per il futuro. Ma la mossa dalla Cgil va certamente oltre l’interesse del solo sindacato e investe una buona parte dell’elettorato, rappresentato dalle forze di sinistra più tradizionali che ormai da qualche tempo hanno dichiarato guerra aperta non tanto alla destra quanto al Partito democratico e allo stesso Governo. 
Come spesso è accaduto in passato, sarà anche questa volta il tavolo delle pensioni a costare la rielezione all’attuale maggioranza? Il tentativo, in effetti, è in atto. L’esito più probabile? Il persistere dell’attuale sistema politico, basato sulla necessità di larghe intese parlamentari e di ricerca di consenso con le parti sociali; un sistema quindi caratterizzato da governi deboli: l’ideale per chi auspica l’aumento indiscriminato di spesa pubblica; la situazione peggiore per chi voglia almeno provare a cambiare davvero le cose. 

 
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