Una brutta esperienza per i 180 passeggeri, tra chi tornava a Roma per ricominciare a lavorare dopo aver fatto visita alle famiglie e chi, invece, aveva viaggiato per piacere in quel Paese dell’Europa dell’est ancora poco conosciuto.
La differenza in quella lunga ora di attesa nei cieli tempestosi sopra la Capitale l’hanno fatta le donne moldave, forti e piene di speranza, e le romane, ironiche sempre e comunque. Come la signora Eugenia, di Chisinau, che ha tenuto la mano a una giovane capitolina che tremava come una foglia per i vuoti d’aria che hanno scandito il tempo che non passava mai. E la signora Anna, che spiegava a tutti col sorriso che, visto che non era arrivata la sua ora, in qualche modo si sarebbe atterrato. E così è stato, dopo tre tentativi falliti, dopo che si era anche ipotizzato di dirottare il velivovo verso un altro scalo. Panico tra i passeggeri, tra grida di paura e sospiri interminabili. Qualcuno è stato sul punto di svenire mentre in molti si sono e rifugiati nella preghiera, in russo e rumeno, ripetendo il Padre nostro.
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