Le donne e Weinstein/ La rivolta tardiva contro il predatore

di Maria Latella
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Giovedì 12 Ottobre 2017, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 01:22
Il caso Harvey Weinstein verrà ricordato per almeno tre buoni motivi. Il primo è che manda in frantumi il primo comandamento di Hollywood: per fare carriera tutte (tutti: a seconda delle inclinazioni sessuali) devono passare dal divano del produttore.

Era così ai tempi di Rita Hayworth ed è così nella Hollywood 2.0. La differenza è che mai, prima d’ora, un produttore e il suo divano erano stati scaraventati per strada con la violenza dell’uragano Irma. E che mai, prima d’ora, star di prima grandezza avevano confermato di esserci finite, sul quel divano. Il secondo motivo per cui conserveremo memoria di Harvey Weinstein e della sua dipendenza dal sesso è che anche in questa storia c’è un risvolto politico, come spesso capita quando - di colpo - un’inchiesta svela un segreto che tale non era. Dalla dark side di Dominque Strauss Kahn alle cene eleganti di Silvio Berlusconi, quando c’è la politica di mezzo queste storie acquistano inevitabilmente una dimensione ben più esplosiva. E la politica, con Weinstein, c’entra; come buona parte di Hollywood, anche il fondatore della Miramax è un noto e generoso sostenitore del partito democratico. Colpendo lui, il nuovo sistema che ora domina a Washington invia un messaggio a tutto il bel mondo dello show biz: conosciamo le vostre debolezze e cosi come abbiamo demolito il robusto Weinstein potremmo fare polpettine di molti di voi. Perciò, come si dice a Napoli, statevi accuorti. C’è una terza ragione per la quale il caso Harvey Weinstein è più interessante di quel che potrebbe essere una banale storia di maturo sex addicted messo alle corde dalle sue vittime. E temo che su questo non tutte le indignados concorderanno con me. La terza ragione è che Harvey Weinstein molestava le attrici oggi famose già dieci o anche venti anni fa. Come mai se ne sono ricordate soltanto ora? Una spiegazione c’è e ammetterlo ci mette a disagio: venti anni fa le giovani attrici volevano “quella” parte, volevano “quella” carriera e non avevano nessuna forza, né interiore né di gruppo, per sottrarsi al sistema Weinstein che poi, probabilmente, era il “sistema” in uso anche su altri divani, negli uffici di altri produttori.

È la conferma di una fragilità che non riguarda solo le belle e famose di Hollywood. Sta di fatto che mentre le Asia Argento o le Gwnyeth Paltrow subivano in silenzio le avances sgradite, gradevolmente continuavano a fare film con Weinstein. Altre, poche altre, no. Angelina Jolie, con lui non ha mai più voluto lavorare. Rosanna Arquette e Mira Sorvino non solo non hanno più lavorato con la Miramax. Non hanno lavorato tout court. Asia Argento ha raccontato al New Yorker di aver conosciuto Weinstein nel 1997. Le prime avances pesanti in un hotel della Costa Azzurra ma non è che, dopo quell’incontro, lei abbia rifiutato di vederlo ancora. No. La storia è andata avanti per anni, e doveva esserci qualcosa di simile ad un rapporto di amicizia se, tempo dopo, essendo l’attrice italiana a corto di cash, il produttore, riferisce The Times, si sarebbe offerto di aiutarla con un piccolo prestito. Provatevi a mettervi nella testa di un predatore. Un uomo con il tipico disturbo del maschio di potere: possedere tutte, o anche soltanto provarci. Il predatore vede che gli dicono “si” perché temono le sue reazioni. Perché subiscono il suo potere. La cosa lo fa sentire ancora più potente. Addirittura, lo frequentano anni dopo aver subito le molestie, in una simil relazione da sindrome di Stoccolma. Il predatore (che andrà in analisi soltanto quando il mondo gli crollerà addosso perché fin quando è potente non ci pensa proprio) ignora le sottigliezze del rapporto vittima-carnefice. Lui constata che le donne gli dicono “si” e in cambio lui le fa diventare star dei suoi film (oppure assistenti universitarie, conduttrici tv, top manager, a seconda del settore sul quale esercita il potere). Punto.

«Sono abituato cosi» replica Harvey Weinstein a una delle sue molestate che cerca di sottrarsi. Ecco: era abituato così. Tutti sapevano. Tutti (o quasi) accettavano. Ma nessuna ha dato un’intervista per denunciarlo. Nessuna. In oltre vent’anni. Lo fanno adesso e certo, dopo i casi di Roger Ailes alla Fox e di Harvey Weinstein nel mondo del cinema, d’ora in poi il simbolico divano ai predatori sembrerà meno accogliente. Ma pensate quanto malessere, quante umiliazioni e anche quanti disagi psichici si sarebbero risparmiate quelle attrici se, invece di sussurrare tra loro, avessero preso una collettiva e ferma pubblica distanza da quel divano. Da quei divani. Oggi, quaranta-cinquantenni famose, hanno la forza di ammettere quel che hanno subito. E certamente questo incoraggerà il “No” di qualche ventenne. È un passo avanti. Ma resta l’amarezza di aver dovuto aspettare vent’anni per dire qualcosa che, venti anni prima, avrebbe avuto tutt’altra forza. E consegnato tutt’altro esempio.
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