Dopo 4 anni di stallo/ I vantaggi del blitz e i suoi limiti

di Alessandro Campi
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Giovedì 12 Ottobre 2017, 00:12
Il voto di fiducia sulla legge elettorale non è un attacco alla democrazia (andiamoci piano con parole che rischiano di esacerbare animi già parecchio eccitati, come si sono visti ieri dalle parti di Montecitorio). È semmai una forzatura politica, non una violazione della legalità costituzionale. una scelta fatta nel rispetto formale delle procedure ma avendo dinnanzi a sé, come è capitato a questo Parlamento a conclusione della legislatura, una pessima alternativa: nessuna legge o questa legge?
Si continua a dire che le regole elettorali, essendo di tutti e per tutti, andavano fatte prima, sulla base di un vasto consenso e senza togliere a deputati e senatori la possibilità di discutere, proporre, emendare e votare liberamente. Giusto. Peccato però che tutti i tentativi in questa direzione siano miseramente falliti. In politica, come nella vita, si raccoglie ciò che si semina. Cosa ci si poteva aspettare dopo tanto colpevole cincischiare di tutti i partiti per quasi cinque anni? Fare una nuova legge elettorale è stato, sin dall’anomala rielezione al Quirinale di Giorgio Napolitano, l’imperativo che tutte le forze politiche si sono impegnate a rispettare.
A maggior ragione dopo che la Consulta, a cavallo tra dicembre 2013 e gennaio 2014, è intervenuta giudicando incostituzionali diverse parti del Porcellum. Ma la larga convergenza tanto auspicata e promessa non s’è realizzata. L’Italicum renziano, entrato in vigore nel luglio 2016, è stato votato dalla sola maggioranza e approvato con un voto di fiducia.

Pensato per la sola Camera dei Deputati e d’impianto tendenzialmente maggioritario, ha perso la sua ratio con la bocciatura, al referendum del 4 dicembre di quello stesso anno, delle riforme costituzionali volute dal governo (che tra le altre cose prevedevano l’abolizione del Senato). Ci ha poi pensato la Corte Costituzionale, nel gennaio dell’anno seguente, a depotenziarlo radicalmente: abolendo il ballottaggio lo ha trasformato in un sistema proporzionale corretto da un premio di maggioranza, tanto utile per rendere stabile la maggioranza quanto impossibile da conseguire nell’Italia divenuta del frattempo tripolare. Da quel momento, essendo vigenti due sistemi di voto difformi per i diversi rami del Parlamento, è partita la corsa verso una nuova legge elettorale da approvare al più presto. Torniamo al Mattarellum, si disse a un certo punto. Pareva ci fosse un accordo, ma poi si è scoperto che nessuno voleva le vecchie coalizioni per paura di concedere troppo al proprio alleato-competitore interno: Berlusconi alla Lega, Renzi alla sinistra uscita nel frattempo dal Pd. Da qui il via libera ad una legge d’impianto proporzionale (denominata Tedeschellum perché conteneva una soglia di sbarramento al 5% per entrare in Parlamento come in Germania) che sembrava andare bene a tutti: partiti piccoli e grandi. Ognuno avrebbe corso per sé ed eventuali accordi di governo si sarebbero fatti dopo il voto. Ma la paura di una fine anticipata della legislatura ne ha causato l’affossamento ad opera dei franchi tiratori (era l’8 giugno).

Nel frattempo c’è stata la tornata amministrativa del giugno 2017 e l’inizio, già in estate, della lunga campagna elettorale siciliana. Un po’ la paura del M5S, un po’ la scoperta che unendo le forze si vince più facilmente che andando da soli, e si è prodotto un nuovo cambio d’orizzonte, quello che ha portato, attraverso l’intesa a quattro tra Pd, centristi, Forza Italia e Lega, al varo del Rosatellum: un sistema misto proporzionale e maggioritario che appunto incentiva gli accorpamenti e le coalizioni. Politicamente è il massimo (qualcuno dirà il minimo) che questa legislatura ha saputo produrre su questa materia. E se non ci fosse stato l’occhio vigile del Quirinale forse nemmeno quest’accordo sarebbe mai nato.

Ciò detto, non bisogna nascondersi i rischi che i sottoscrittori si stanno assumendo. Per cominciare, nel loro rapporto con l’opinione pubblica, che da anni nutre nei confronti della classe politica sentimenti di profonda diffidenza e sfiducia. Un atto politicamente così importante realizzato in chiusura di legislatura, ricorrendo per di più alla blindatura del Parlamento, potrebbe in effetti essere percepito come una manovra realizzata nell’interesse dei partiti (e dei loro capi) e non dei cittadini. Anche perché delle due cose che una buona legge elettorale avrebbe dovuto fare – restituire il diritto di scelta agli elettori invece di concentrarlo nelle mani dei leader di partito e prevedere meccanismi in grado di garantire un minimo di governabilità all’indomani del voto – nel Rosatellum con c’è traccia. Esso – sempre se si riuscirà ad approvarlo definitivamente (dopo la sortita di ieri di Napolitano qualche dubbio è lecito) – rischia anzi di darci una rappresentanza parlamentare fatta di fedelissimi e portaborse (dunque un pessimo ceto politico) e una quasi sicura instabilità: con coalizioni che si sfasceranno all’indomani del voto o con larghe intese parlamentari che non produrranno alcunché di significativo sul piano del governo.

Ma non basta. Questa legge, che tra i suoi obiettivi ha quello nemmeno tanto segreto di frenare l’avanzata elettorale dei grillini, rischia di produrre un effetto doppiamente paradossale. Offrire a questi ultimi un formidabile argomento propagandistico, all’insegna del solito e sempre efficace “noi contro loro”, che potrebbe rafforzarli ancora di più alle urne. Spingerli ad un radicale cambio di tattica al momento di scegliere i loro candidati per i collegi uninominali. Questa legge li penalizzerebbe perché non hanno grandi nomi da mettere in campo. Al momento è così, prigionieri come essi sono della retorica “uno vale uno” e di un’idea della partecipazione democratica che non fa differenza, dal punto di vista delle capacità politiche e della rappresentatività sociale, tra un pasticciere, uno studente fuoricorso, un ingegnere nucleare e un giurista con cattedra alla Bocconi. Ma potrebbero anche guarire da un simile infantilismo e decidere di affidarsi, invece che ai soliti militanti ignoti e inaffidabili, a esponenti della società civile altamente competitivi: col clima che c’è nel Paese ne troverebbero non pochi. E a quel punto forse si scoprirebbe che certi calcoli fatti a tavolino dai loro avversari sono stati un po’ troppo affrettati.
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