Francesco Rutelli: «La legge sul fascismo? La memoria non è reato»

Francesco Rutelli: «La legge sul fascismo? La memoria non è reato»
di Mario Ajello
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Giovedì 14 Settembre 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 15 Settembre, 07:49
ROMA Pier Paolo Pasolini diceva che «buona parte dell’antifascismo di oggi o è stupido o è pretestuoso: perché finge di dar battaglia a un fenomeno morto e sepolto». 

Secondo lei, Francesco Rutelli, la legge Fiano appartiene a questo tipo di pretestuosità? 
«Io credo che sia giusto porre argine a chi si presenta con simbologie totalitarie, però bisogna individuare con precisione le fattispecie che sono reato. Sennò, partono provocazioni, risentimenti, risse, e si ricade in una scimmiottatura assurda da guerra civile da condominio. Quelli che vanno a caccia del busto di Mussolini nella cantina della vecchietta che abita accanto... Quelli che piombano a Porta Portese contro i banchetti che vendono cimeli del Duce o magari di Stalin... E se uno chiama i carabinieri perché vede un altro che legge le memorie mussoliniane? Ma siamo pazzi! La legge Fiano deve essere molto meglio precisata proprio per evitare questo: l’impazzimento generale. In Italia le divisioni covano e non vanno esasperate». 

Anche sui monumenti del Ventennio infuria la polemica. 
«Il giudizio storico su quel periodo è indiscutibile. L’Italia ha condannato e condanna il fascismo. Però non si può riscrivere la storia con l’accetta. Se ci si mette in questo ordine di idee che facciamo: cancelliamo i fasci littori sui tombini o i residui del motto Credere Obbedire Combattere che stanno negli edifici dell’Opera Nazionale Combattenti?». 

La frase di Fiano sull’obelisco del Foro Italico non ha aiutato?
«Poi però l’ha corretta».

Lei da sindaco come si è comportato con i simboli del regime? 
«Una volta, entrando nella sede dell’Ente Eur ho visto un pannello che copriva una parte di un bassorilievo di travertino, opera dello scultore Morbiducci. Ho chiesto: ci sono dei lavori? Mi rispondono: no, c’è Mussolini qui sotto».

E quindi? 
«Nella parte alta e in bella mostra, si vedono i romani che distruggono il tempio di Gerusalemme. Insomma è stato reso visibile questo che fu il più grande affronto dei romani alla civiltà ebraica, dunque qualcosa di molto offensivo, e mi creda: la mia famiglia ha l’esperienza di un Giusto tra le nazioni nello Yad Vashem a Gerusalemme. Mentre ci si è vergognati, nell’esporre quel bassorilievo, della figura di Mussolini a cavallo. Allora ho detto ai responsabili del palazzo: o fate saltare in aria tutto il bassorilievo o è ridicolo che venga censurato un pezzo. Fuori di lì, sulla strada, c’è la statua di un giovane fascista che fa il saluto romano. Ed è stato ritoccato così: hanno messo un guanto sulla mano tesa ed è stato trasformato nel genio dello sport». 

La storia non si tocca? 
«Riproporre in Italia, alla fine del secondo decennio del secondo millennio l’eliminazione di elementi che fanno parte del nostro paesaggio, significa riportare all’attualità immediata un tema che appartiene invece alla dimensione storica».

Come bisognerebbe agire? 
«L’iconoclastia, ovvero la distruzione da parte dei vincitori dei simboli degli sconfitti, ha accompagnato tutta la storia umana. Prenda però Sisto V. Dopo che noi cristiani abbiamo distrutto migliaia di icone della civiltà romana perché pagane, quel Papa alla metà del ‘500 recupera gli obelischi. Gli mette sopra le croci. E in cima alle due colonne che non era stato possibile abbattere, in quella traiana ci piazza San Pietro e in quella antonina San Paolo». 

Dice questo per dire che i monumenti possono avere tante vite?
«Ma certo. E non devono minimamente essere presi a pretesto per riattizzare vecchie conflittualità. Se qualcuno vuole riorganizzare il partito nazionale fascista va perseguito, ma se qualcuno ha nella sua biblioteca l’opera omnia di Mussolini è una memoria storica e non un reato». 
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