Zanda: «Serve una legge speciale per restituire forza alla Capitale»

Zanda: «Serve una legge speciale per restituire forza alla Capitale»
di Mario Ajello
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Sabato 9 Settembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 10 Settembre, 19:14
Dieci anni dal Vaffa Day. Dieci anni di grillismo. E Roma è diventata la capitale della neo-politica targata cinque stelle. È il punto nevralgico in cui si giocano anche buona parte dei destini delle prossime elezioni politiche, per il movimento di Grillo e Casaleggio.

Presidente Zanda, in che maniera Roma può essere considerata lo specchio di dieci anni di grillismo?
«La questione da porsi, secondo me, è questa. L’idea di scegliere per sindaco Virginia Raggi è stato un incidente di percorso oppure il risultato di un metodo? Io credo che sia vera la seconda opzione. E questo rende tutto più difficile per la città. L’attuale sindaco è il frutto del sistema di governo del movimento cinque stelle. Fatto per metà di clic, che sono l’esatto contrario della democrazia, e per l’altra metà basato sul volere di Grillo e di Casaleggio. I quali si sistemano in una suite di lusso dell’Hotel Forum e danno gli ordini di cambiare gli assessori e i capi delle aziende comunali».

Le colpe della situazione a Roma non ritiene, però, che siano anche della sinistra che l’ha governata a lungo?
«È sbagliato parlare, a proposito dei sindaci, solo di sinistra e destra. Roma, dopo Argan e Petroselli, ha avuto due sindaci che hanno funzionato, Rutelli e Veltroni, e due sindaci che non hanno funzionato, Alemanno e Raggi».

Un giudizio partigiano. E allora Marino?
«È una parentesi. Io lo rispetto. Quel che è certo, comunque, è che finché la Raggi sarà sindaco Roma resterà una città irrecuperabile».

E il Pd non ha fatto molti errori?
«Il Pd deve rimproverarsi di non essere riuscito, a causa delle tensioni interne e delle lotte tra correnti, ad impedire che dopo Rutelli e Veltroni arrivassero Alemanno e la Raggi. Questa è la nostra responsabilità politica».

Adesso non crede che sia venuto il momento di una legge speciale per Roma, che le dia la possibilità di risollevarsi?
«Assolutamente, sì. Roma è l’unica capitale europea e mondiale, alla quale non sono stati riconosciuti gli strumenti e i poteri per svolgere il suo ruolo di città-guida dell’Italia. Ma per meritare una legge speciale, Roma dovrebbe dire che cosa vuole fare del proprio futuro. Ossia deve spiegare agli italiani qual è l’idea che Roma ha di se stessa e qual è il progetto che vuole intraprendere. Non si danno risorse e poteri speciali al buio».

Chi deve farsi carico di questa riforma?
«Innanzitutto la Raggi, è lei che governa la città. Se il sindaco non se ne occupa, come dovrebbe, la chiederemo noi dall’opposizione».

E come va formulata questa legge?
«Dev’esserci scritto anzitutto che serve un grande piano straordinario per la capitale, perché Roma non può vivere senza un rapporto di sinergia molto forte con il governo nazionale. E vanno indicati i progetti, la strumentazione e le risorse per realizzare questo piano».

Il Campidoglio è in grado di attivare tutto questo?
«Guardi, Roma ha due problemi di fondo. Uno è quello della gestione del Comune da parte del sindaco. L’altro e la mancanza di un’idea per la città, di un progetto per il futuro».

Ma la colpa mica può essere solo della politica. Le élites cittadine e non da oggi sono assenti e come disinteressate alle sorti di Roma.
«Possiamo chiamare in causa tutta la società romana. Ma è chiaro che, con il nostro ordinamento, il motore di una città è il sindaco. Che ha poteri molto forti. Se viene eletto qualcuno che non ha la formazione adeguata e non conosce il mestiere di sindaco, siamo fritti».

Che cosa manca al momento a Roma?
«Il futuro di una città si costruisce con un’azione a tre stadi. Il primo è quello dell’ideazione, della messa a fuoco della città che si vuole costruire. Il secondo stadio è io progetto, che è il centro di tutto il processo. È nel progetto che le idee prendono corpo e diventano vive. Il terzo stadio è il momento in cui si può passare alla realizzazione».

Un nuovo progetto per Roma da dove dovrebbe partire?
«Dai fondamentali. Anzitutto va ricostruita da capo l’amministrazione comunale e delle aziende partecipate. Per rimettere in moto questa macchina serve continuità. Ho contato che tra gli amministratori e gli alti dirigenti in un anno ne sono stati cacciati, trasferiti, sostituiti, spostati, privati delle deleghe, più di trenta. Tra questi, figure di valore come l’assessore Minenna e il manager dell’Atac, Rota».

Al netto del giudizio politico sul Ventennio, un buon progetto generale fu l’istituzione nel 1923, per volere di Mussolini, del Governatorato di Roma. Non crede?
«La parola governatorato non mi piace per tutto quello che sottintende. Ma che Roma debba avere risorse, strumenti e poteri speciali, è certo. La storia ha un senso che va seguito. Roma fascista era l’emblema di una visione imperiale, ma velleitaria e patologica, dell’Italia. Roma contemporanea deve vedersela con grandi capitali che fanno a gara in modernità, servizi e qualità della vita. E la nostra capitale deve avere tutti gli strumenti per competere».

Secondo lei, sotto i referendum autonomisti in Lombardia e Veneto, del 22 ottobre, c’è il ritorno della retorica di Roma ladrona che ha fatto tanti danni in passato?
«Dobbiamo smettere di considerare la nostra Costituzione a corrente alternata. La Repubblica è una e indivisibile. Riconosce le autonomie locali all’interno dell’unità del Paese. L’indipendentismo ha avuto nella storia forme anche nobili. Viceversa, le iniziative attuali sono piccola politichetta».

Ma la Lega insiste. È solo deja vu?
«Mi sembra che ogni tanto il pensiero secessionista di Bossi incomba sulle disastrose iniziative di Salvini. Che sono spesso puro esibizionismo».

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