Meno lavoro, più felicità, parola di Bertrand Russell

Meno lavoro, più felicità, parola di Bertrand Russell
di Matteo Collura
4 Minuti di Lettura
Giovedì 17 Agosto 2017, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 20 Agosto, 17:56
Un libro dal titolo “Elogio dell’ozio” può risultare appropriato in questi giorni di vacanze estive. Se poi l’autore del libro è Bertrand Russell, il matematico filosofo insignito del premio Nobel per la letteratura, sarà il modo migliore d’impiegare il tempo al riparo di un ombrellone, in riva al mare, o su una panchina ombreggiata lungo un sentiero di montagna. Leggere Bertrand Russell (1872-1970) è riposante, divertente e, nello stesso tempo, sommamente istruttivo. Di qualunque cosa egli scriva, si ha la sensazione di apprendere, da una voce suadente e familiare, nozioni di civiltà e di garbo.

ANTESIGNANO
Era un aristocratico, Russell; e questo aggettivo va inteso alla lettera (dopo la morte del fratello divenne il terzo conte Russell), ma anche come un modo esatto di definire il suo pensiero, assolutamente libero, nemico di ogni dogmatismo e ideologia preconcetta. Per questo un titolo come “Elogio dell’ozio”, accostato al suo nome, promette una ginnastica mentale piacevole e dagli imprevedibili esiti. Il libro, ripubblicato per l’ennesima volta nelle edizioni TEA (pagine 197, euro 9,00; traduzione di Elisa Marpicati), raccoglie quindici saggi su importanti temi filosofici, sociali e politici, il primo dei quali dedicato, appunto, all’ozio. Un modo corretto, mi pare, di accostarsi a questo grande pensatore, nel caso lo si conosca poco, e altrettanto proficuo se si ha intenzione di rileggerlo.

Scritto nel 1935, “Elogio dell’ozio” esprime un giudizio sulla modernità che certamente era all’avanguardia al suo apparire e che ai giorni nostri regge perfettamente. «La fede nella virtù del lavoro provoca grandi mali nel mondo moderno - assicura Russell - mentre la strada per la felicità e la prosperità si trova invece in una diminuzione del lavoro». 

Naturalmente il filosofo non intende predicare l’abolizione del lavoro, ma una sua drastica diminuzione, affinché esso non tenga più inchiodata all’esplicazione del proprio dovere, a fini puramente consumistici, la maggior parte dell’umanità. «L’etica del lavoro è l’etica degli schiavi - taglia corto Russell - e il mondo moderno non ha bisogno di schiavi».

Quale sarebbe allora il numero ideale di ore lavorative in un giorno? A questo proposito, Russell ha le idee chiare, e quel che più conta, mostra di avere il coraggio di diffonderle (e di coraggio propriamente si tratta nel suo caso, considerato che proprio a causa delle sue idee, considerate pericolosamente diseducative, fu allontanato dall’insegnamento universitario in Inghilterra e negli Stati Uniti). Lasciando un “buon margine di sicurezza”, egli calcolava che quattro ore di lavoro al giorno, svolto da individui adulti, potessero bastare «per produrre quelle comodità materiali che tutte le persone ragionevoli dovrebbero desiderare».

CORAGGIO
Certo, le sue provocazioni erano e restano sconcertanti, ma bisogna tener presente che esse miravano al recupero della spensieratezza e della gioiosità che, a suo parere, un tempo appartenevano agli esseri umani e che in gran parte sono state soffocate dal culto dell’efficienza. Ecco il vero “nemico” di Bertrand Russell: l’efficienza fatta religione. Il tempo libero dà agli esseri umani la possibilità di progredire in tutti i campi. In passato, ricorda Russell, fu proprio una classe di “oziosi” che coltivò le arti e le scienze, scrisse libri, inventò sistemi filosofici e raffinò i rapporti sociali. Se ne deduce che «senza una classe oziosa, l’umanità non si sarebbe mai sollevata dalla barbarie». È vero che l’ozio è il padre dei vizi, ma – ci vuol dire Russell – tutto si complica, e in peggio, quando il lavoro diventa un vizio e, come tale, esso viene contagiato.

OPINIONI
Altre stimolanti e spesso spiazzanti opinioni sono distribuite in questo volumetto di piacevole lettura. Da quello che l’autore definisce «sapere inutile», all’uso propriamente sociale dell’architettura; dal fascismo al comunismo («I comunisti si propongono uno scopo che, in generale io approvo. Disapprovo invece i mezzi per ottenerlo. Del fascismo disapprovo e il fine e i mezzi»). E inoltre lucide riflessioni sull’anima, sulla scienza, sulle religioni («La scienza, pur diminuendo le nostre presunzioni cosmiche, aumenta in misura enorme le nostre comodità terrestri. Ecco perché, nonostante l’orrore dei teologi, la scienza nel complesso è stata tollerata»). Assaggiandone qualche battuta, vien voglia di leggere tutto quanto questo principe del pensiero razionale ha scritto.

A partire dal suo capolavoro, che nel 1950 gli assicurò il premio Nobel, “Storia della filosofia occidentale”, passando per “Matrimonio e morale”, “Perché non sono cristiano”, “L’ABC della creatività”, “Principia mathematica”, ”Autobiografia” e tanti altri titoli che fanno onore al pensiero umano. Irriducibile pacifista, Russell visse molti anni della sua lunga vita ossessionato dal proliferare delle armi atomiche. Arrivò a sostenere, subendo per questo anche la prigione, un disarmo nucleare senza condizioni. Chi ne ha l’età, ricorderà i suoi accorati messaggi a Kennedy e a Kruscev durante la crisi cubana del 1962. Uno scandaloso educatore, Bertrand Russell. E in questo ossimoro c’è il senso della sua nobile esistenza, dei suoi provvidenziali studi. «Il mondo non ha bisogno di dogmi; ha bisogno di libera ricerca»: potrebbe essere questa sua celebre frase il suo epitaffio. 
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA