Scuole tecniche in calo/ Boom liceo classico: torna di moda studiare con fatic

di Marina Valensise
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Sabato 24 Giugno 2017, 00:05
Allegria. Non tutto è perduto. Il liceo classico torna in auge. Sì, avete letto bene: il tanto vituperato liceo classico, frutto dell’altrettanto vituperato regime fascista, la creatura di Giovanni Gentile, il filosofo dell’attualismo, vede crescere le iscrizioni. 


Gentile, il ministro che credeva nella rivoluzione nazionale del fascismo come prosecuzione del Risorgimento, con la riforma del 1923 volle introdurre anche in Italia una palestra per le classi dirigenti, facendo del liceo la strada maestra, e per lungo tempo unica, per accedere all’università, prima che la Costituzione della Repubblica santificasse i capaci e i meritevoli, e la scuola deviasse dal suo alveo democratico in decenni di lassismo, svogliatezza, sperimentazione a oltranza, occupazioni ad libitum, con le mamme che infilano il pigiamino nel sacco a pelo del figlio che deve okkupare la squola, come se fosse un rito obbligatorio di passaggio, e sempre in nome dell’egalitarismo, dell’utopia contestataria, del tutto e subito che finisce regolarmente nel niente mi dà niente…

Allora, l’amato e odiato liceo classico torna in auge e tanti liceali attempati, che sognano come un incubo di dover ridare gli esami di maturità con tutte le materie, plaudono alla notizia. Stando agli ultimi dati relativi all’anno 2017-2018, infatti, gli iscritti ai licei (classico e scientifico e scienze umane) sono il 53,4 per cento dei ragazzi italiani. Il 30,4 per cento si sono iscritti negli istituti tecnico, il 16, 2 per cento negli istituti professionali. Rispetto al 2016 le iscrizioni al liceo registrano un incremento complessivo dell’1,4 per cento (con lo 0,4 in più per il classico, e uno 0,3 in più per il liceo scienze umane) mentre le iscrizioni agli istituti tecnici e agli istituti professionali diminuiscono rispettivamente dello 0,1 e del 1,3 per cento.

Al di là di cifre e percentuali, la notizia rallegra perché restituisce al liceo italiano un primato che molti sottovalutano. Nei college americani, forse non a tutti è noto, i professori fanno a gara per avere in classe qualche bravo liceale italiano in grado di trascinare i compagni autoctoni, sempre monoglotti, ostinatamente refrattari a qualsivoglia nozione metafisica, molto orientati a un sapere pragmatico, tecnico, utilitaristico. Lì, lo studente italiano, se ha la fortuna di essere uscito dal limbo famigliare, magari frequentando il Liceo del Mondo Unito, spopola letteralmente. E all’università, viene osservato a vista come l’allievo più creativo, curioso, duttile, e geniale del mondo. Sarà anche per questo che, costretti da politiche dissennate alla fuga all’estero, molti dei nostri cervelli in fuga finiscono per eccellere, conquistano cattedre prestigiose, vincono finanziamenti impensabili e arrivano a scoperte straordinarie? Ma per quanti di loro l’abito mentale, la così detta forma mentis, non è solo frutto del caso, effetto di una felice combinazione genetica che li ha dotati di un buon dna, bensì il risultato di un’attitudine che il liceo classico nella sua eclettica generalità non fa che stimolare? Che senso ha perdere tanto tempo col latino di Orazio e le Epistole di Seneca?, si chiederanno i più scettici, tristi malinconici, sempre scontenti. Perché continuare a studiare l’aoristo e l’Alcesti di Euripide, quando poi sei un disadattato digitale, e non sei nemmeno capace di tradurre un’iscrizione del Foro romano? Obiezione di peso, certo. E però, non vorrei che siccome certi professori non vogliono più insegnare il greco, tutti devono rinunciare a studiare il teatro greco e a imparare i tempi del verbo, studiando anche fisica, chimica, biologia e matematica. 

Le aziende, diranno gli scafati, non sanno che farsene di tanti giovani saputelli pretenziosi. Vogliono carne fresca, menti sgombre da plasmare a piacimento. Benissimo. Si dà il caso però che siano sempre di più i manager con formazione umanistica che svettano ai vertici delle imprese. E le stesse imprese appetiscono sempre di più gli appassionati di latino e greco abituati sin da piccolo al pensiero complesso e perciò in grado di cimentarsi con algoritmi, calcoli algebrici, serie attuariali non in virtù di una congenita duttilità, bensì per effetto di un allenamento precoce. Non per niente, adesso che con la ripresa le aziende ricominciano a assumere, le famiglie riprendono a puntare sugli studi severi. Allora evviva il liceo classico, e viva quei temerari pronti a aprirsi le meningi sulle monadi di Leibniz, l’io trascendentale di Kant, la biologia molecolare e le guerre di religione, senza trascurare Dante e Machiavelli. Devono aver capito che non si tratta solo di nozioni, ma degli attrezzi indispensabili per imparare a dare il meglio di sé.
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