Sembrerebbe che governo e burocrazia siano due entità distinte, con la seconda anzi impegnata a rovinare quanto di buono è stato concepito a livello politico. Stanno così le cose? Per rispondere dovremmo prima cercare di capire un po' meglio cosa si intende per burocrazia. Molto sommariamente, le accezioni principali sono due, inevitabilmente destinate però ad intrecciarsi tra loro: la prima rimanda al comportamento soggettivo dei singoli dipendenti pubblici o di gruppi di dipendenti che per pigrizia, incompetenza, timore delle conseguenze o altri motivi ancora non fanno quello che devono o lo fanno troppo lentamente; la seconda riguarda invece la complessità delle procedure necessarie per attuare le scelte politiche e amministrative e quindi anche per garantire prestazioni ai cittadini.
Tutte e due le tipologie di situazioni coinvolgono la responsabilità del governo, anche se nel primo caso questa è più indiretta, soprattutto quando funzionari e impiegati in questione lavorano non alle dipendenze dello Stato centrale ma di Regioni o Comuni. Ma sulle procedure è più difficile non vedere le colpe politiche, di governo e parlamento: non solo quelli attuali naturalmente. Uno dei vizi di fondo è l'idea che governare voglia dire essenzialmente produrre nuove leggi. Farlo a volte è una necessità, per rimuovere situazioni create in passato: ma in questo modo si alimenta un circolo vizioso che poi si trasforma in groviglio inestricabile.
Un caso recente e lampante è il nuovo codice degli appalti: concepito magari con le migliori intenzioni, ha di fatto bloccato per vari mesi qualsiasi attività connessa con le opere pubbliche e i trasporti, fino a richiedere un corposo provvedimento correttivo che però è stato a sua volta fonte di nuovi problemi. E anche la volontà di tagliare i nodi affidandosi ad un soggetto come l'Autorità anti corruzione (Anac) si è tradotta spesso in risultati controproducenti. Si fa presto a dire burocrazia.
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