Calo delle nascite, alle elementari del futuro troppi docenti per pochi alunni

Calo delle nascite, alle elementari del futuro troppi docenti per pochi alunni
di Luca Cifoni
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Mercoledì 12 Aprile 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 14:02
ROMA Trecentomila bambini in meno nel 2023. Ecco l’effetto sulla scuola primaria del drastico calo delle nascite iniziato in Italia nel 2008 e proseguito fino al nuovo minimo storico dello scorso anno. Un dato che colpisce, soprattutto perché non è una previsione ma la proiezione sulle future iscrizioni scolastiche delle tendenze demografiche già verificate: dunque, a meno di eventi improbabili come un rapido e massiccio afflusso nella scuola italiana di bimbi nati all’estero, si tratta di numeri che difficilmente potranno cambiare di molto. 
Se poi nei prossimi anni le nascite dovessero attestarsi ai livelli del 2016 o addirittura diminuire ancora, invece di iniziare un recupero, allora il trend negativo per la scuola diventerebbe ancora più visibile dopo il 2023. La riduzione degli alunni porta naturalmente con sé problemi di gestione del personale, che almeno sulla carta potrebbe risultare ridondante rispetto a quello attuale.

LA PROVA DEI DATI
Vediamo quindi le cifre. Oggi in linea di massima frequentano le scuole primarie - che un tempo si chiamavano elementari - i bambini nati tra il 2006 e il 2010, con l’eccezione di quelli che hanno anticipato l’accesso di qualche mese. Si tratta di coloro che sono venuti al mondo a ridosso di un relativo picco delle nascite, registrato nel 2008 a quota 577 mila circa.
I demografi hanno spiegato questa tendenza favorevole iniziata a metà degli anni Novanta e proseguita per buona parte del decennio successivo essenzialmente con due fattori: il contributo positivo delle donne straniere, con tassi di fecondità ben superiori a quelli delle italiane, e il parziale recupero della maternità in età un po’ più matura di quella tradizionale.

L’EFFETTO RECESSIONE
Dopo il 2008, con tutta probabilità, il contesto di recessione ha accentuato il venir meno di questi due effetti positivi. Sta di fatto che da allora il numero dei nati ha iniziato a scendere, precipitando sotto la soglia del mezzo milione l’anno e toccando nel 2016 il primato negativo dall’unità di Italia, 474 mila ovvero oltre centomila in meno rispetto ad otto anni prima. 
La riduzione percentuale sfiora il 18 per cento. Attualmente la scuola primaria risente ancora di quei numeri: gli iscritti nell’anno scolastico 2016/2017, tra statali e paritarie, sono poco 2 milioni e 728 mila, ovvero poco meno dei nati nel periodo 2006-2010 (2 milioni 831 mila). 

Gli effetti dell’inversione di tendenza si faranno sentire nei prossimi anni prima gradualmente e poi in modo via via più marcato, fino al 2023 quando saranno iscritti alla scuola primaria, sempre con la stessa approssimazione relativa agli anticipi, i nati negli anni 2012-2016 che sono invece poco più di 2 milioni e 510 mila. Dunque la platea si riduce di trecentomila unità, con un calo di quasi l’11 per cento. 
Applicando la stessa percentuale alle classi (che oggi ospitano in media circa 19 alunni) le attuali 145 mila ne perderebbero oltre 15 mila da qui a sei anni. Guardando ancora più avanti, le notizie non sono buone: se a partire da quest’anno il numero delle nascite si manterrà intorno a quota 475 mila, tra dieci anni le elementari potrebbero aver perso altri 100-150 mila alunni.

DIETRO LA CATTEDRA
E i docenti? Nelle primarie statali ce ne sono più o meno 250 mila, con un rapporto di circa uno a dieci con i bambini. Il loro numero futuro dipenderà naturalmente dall’incrocio tra la dinamica dei pensionamenti e quella dei nuovi ingressi, che in una situazione di questo tipo potrebbe essere molto ridotta. 
Lo scenario è complicato anche dal fattore geografico interno. Sebbene il calo delle nascite non sia particolarmente difforme nelle varie aree del Paese (il Mezzogiorno “perdeva” neonati anche negli anni precedenti in cui Centro e Nord ne guadagnavano) la tendenza è più accentuata in alcune Regioni. E dunque si potrebbe porre anche un problema di mobilità.
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