Vaticano, scrive al Papa la mamma del funzionario del governatorato licenziato

Vaticano, scrive al Papa la mamma del funzionario del governatorato licenziato
di Franca Giansoldati
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Giovedì 6 Aprile 2017, 16:42
CITTA' DEL VATICANO Eugenio Hasler, il funzionario 34enne del Governatorato silurato dal Papa il primo aprile scorso, tace. Il Papa gli ha fatto sapere che sarà lui a doversi dimettere così potrà avere diritto alla liquidazione. Un gesto di generosità. La mamma di Hasler, invece, è un fiume in piena. Maria Michela Petti ha preso carta e penna per scrivere una lettera a Bergoglio e allontanare dal figlio gli schizzi di «fango» che lo avrebbero colpito.  

La signora, moglie dell’ex capitano delle Guardie Svizzere, attualmente in pensione (ma ancora al lavoro all’archivio come volontario e ancora residente negli appartamenti del quartiere interno delle Guardie Svizzere) racconta degli sforzi fatti («inutili, persistenti, innumerevoli») per proteggere i figli (nati e cresciuti al di là delle Mura Leonine) per allontanarli entrambi «da quest’ambiente, dal quartiere della Guardia Svizzera, non ritenendolo il luogo ideale per la loro crescita e per un loro armonico sviluppo».

Dalla lettera si capisce che il disagio patito dalla donna è di antica data e probabilmente ha poco a che vedere con il licenziamento del figlio. La donna insiste molto sul fatto che, in passato, ha cercato di tutelare i suoi figli dall’ambiente interno senza aggiungere altri particolari. Una realtà molto chiusa che in passato è stata squassata da scandali, il più grave l’omicidio suicidio della giovane guardia svizzera Tornay che freddò con un colpo di pistola il comandante Esterman e la moglie Gladys. Le voci interne, emerse successivamente anche durante il caso di Vatileaks, segnalavano che tra le Guardie Svizzere vi fossero ancora mele marce, legate tra loro da amicizie particolari. Maldicenze, naturalmente, che però sono state fonte di parecchi imbarazzi. Ora la mamma di Eugenio Hassler sembrerebbe evocare proprio quel quadro di riferimento.

«Per quarant’anni ho sopportato sofferenze inimmaginabili, da me puntualmente segnalate ai diretti Responsabili dei vari settori, senza ricevere alcun riscontro alle mie denunce; denunce presentate non per danneggiare le persone, ma limitandomi a segnalare un disagio assurdo in cui si è trascinata la mia famiglia, nell’indifferenza generale. Ho messo in atto azioni coraggiose, per cui ho pagato pesanti conseguenze». Quali siano queste conseguenze la signora non lo esplicita. Si tratta dello sfogo disperato di una madre. «Santità le mie conseguenze ho preferito non presentarle a Lei, come persone amiche mi avevano suggerito di fare, ritenendo con ciò di evitarLe una pena inutile, inutile anche quanto ai risultati, perché Lei non avrebbe potuto restituire ai miei figli, alla mia famiglia distrutta, a me, quanto ci è stato rubato».

Poi un po’ sibillina aggiunge: «Non mi è mai mancato il coraggio e la volontà di risollevarmi dalle macerie della vita, non mi sono pianta addosso, né intendo farlo adesso, come ha esortato nell’Omelia di domenica scorsa a Carpi. Ho mantenuto sempre un comportamento autentico, schietto, lineare, senza ipocrisie ed infingimenti. Purtroppo, Santità, è più facile individuare le responsabilità delle macerie causate dai disastri naturali che i killer che colpiscono a morte subdolamente gli esseri umani. La sofferenza – sì la croce che pesa sulla spalla, che ho portato con dignità e in silenzio, avendo come samaritano il sostegno del Signore, di cui nei troppi momenti bui ho anche dubitato, ma di cui Gli sono sempre stata grata, dopo aver superato prove senza soluzione di continuità – questa sofferenza è la mia ricchezza, la mia forza, il capitale che ho il dovere di investire nella protezione di mio figlio Eugenio e nella difesa della sua onorabilità».

Infine la signora Maria Michela Petti sottolinea che il figlio in passato ha ottenuto «lusinghiere schede di valutazione. Le auguro di cuore, Santo Padre, di portare a termine quel mandato che ricevette il Santo di cui si onora di portare il nome: Va’, Francesco, e ripara la mia casa. Questa casa è crollata solo addosso a noi. Quanto a me, non gioisco per questa perfetta letizia, come avrebbe fatto il Poverello, ma voglio continuare a credere, col Manzoni, che: Il Signore non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per darne loro una più certa e più grande».

 
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