La legge elettorale spacca i dem. Orlando: «No alle larghe intese»

Andrea Orlando
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Lunedì 20 Marzo 2017, 12:15 - Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 12:08
Sull'onda del 'caso' Minzolini e dell'inchiesta Consip nelle primarie del Pd è tutto un fioccare di frecciate, scaramucce, botta e risposte. Primarie ancora dense di veleno, insomma, mentre emerge un altro nodo che, dopo la consacrazione della nuova leadership, verrà fuori in tutta la sua complessità: quello della legge 
elettorale.

«Cresce l'impressione che in fondo a una parte del Pd se si vota con questa legge elettorale vada bene. Beh, a me dispiace, perché io non voglio né le larghe intese né le elezioni dopo 6 mesi», è la sfida lanciata da Andrea Orlando da un'iniziativa di Sinistra Pd in suo sostegno. Sulla questione, in realtà, Matteo Renzi per ora non intende mettere bocca. È sulla vita reale, sulle concrete esigenze dei cittadini e non sul dibattito più vicino al Palazzo che, si sottolinea in ambienti renziani, l'ex premier vuol basare la sua campagna per le primarie. Girando l'Italia nel rispetto di quel 'trolley' che campeggiava al Lingotto e limitando, rispetto alla campagna referendaria, le sortite televisive.

Tanto che, chi ha parlato con l'ex premier, prevede che Renzi molto difficilmente faccia più di un faccia a faccia con i suoi avversari. Né, dall'ex premier, arriva una qualche reazione sugli attacchi giunti da M5S, FI e anche da Mdp (sono state fatte «con il compasso, entro 20 km da Firenze», è la stoccata di Roberto Speranza) sulle nomine. Se c'è qualcosa di illegale si denunci, è il refrain che arriva dagli ambienti renziani che ribadiscono come i nuovi a.d siano comunque stati scelti dal governo e siano, in ogni caso, tutti altamente qualificati.

Nel frattempo, è Orlando a parlare, da un'iniziativa della Sinistra Pd di Cesare Damiano tutta incentrata su lavoro e inclusione. «Bisogna intervenire sui licenziamenti collettivi e rivedere il Jobs Act non sulla base di una battaglia ideologica», afferma il ministro della Giustizia manifestando perplessità anche sulla scelta di eliminare 'tout court' i voucher. Ma se è sul partito - sul quale a inizio aprile terrà una grande conferenza - che Orlando si sofferma a lungo, ribadendo la necessità di estendere il 'modello Milanò a tutto il Paese e vedendo, nel ticket Renzi- Maurizio Martina, il rischio di un ritorno del «centrosinistra col trattino», con il primo «che si rivolge al centro» e il secondo «a sinistra». Ed è proprio sul modello Milano che si accende lo scontro tra orlandianì e renziani.

«Prima di evocare Milano si pensi agli errori di Napoli», replica Martina senza nominare il ministro, che tuttavia, è stato commissario del Pd nel capoluogo campano. E, incalza Martina, «noi non abbiamo l'ossessione del centrosinistra con il trattino e della divisione dei ruoli». «Preserviamo il Congresso da polemiche sterile», contro-ribatte Sandra Zampa, portavoce della mozione Orlando. Mentre Andrea Marcucci stuzzica Orlando sul tema del doppio incarico (che il ministro esclude): «Schulz eletto presidente del Spd e candidato cancelliere, è uomo solo al comando?». Fuori dal Pd, invece, Roberto Speranza derubrica il Congresso a un mero appuntamento per la nuova leadership renziana: «Le primarie del Pdr rischiano di essere solo un gioco di figurine», attacca il leader di Mdp
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