Francesca Bronzi rompe il silenzio: «Quella notte al Rigopiano ho lasciato una parte di me»

Francesca Bronzi rompe il silenzio: «Quella notte al Rigopiano ho lasciato una parte di me»
di Alessandra Di Filippo e Giovanni Sgardi
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Venerdì 17 Febbraio 2017, 00:52 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 14:49
PESCARA «Una parte di me è morta per sempre quel giorno». Domani, un mese dopo Rigopiano. Il rombo della valanga assassina che sventra l’hotel da libro dei sogni. Quello in cui i fidanzati andavano a vivere il loro febbrile amore. Stefano Feniello e Francesca Bronzi, lui salernitano, lei pescarese, si tenevano per mano nella sala del camino. Il soffio del destino cattivo, Francesca viva, Stefano lapidato da ghiaccio e macerie. La presenza d’amore che diventa lamento, poi rantolo, infine silenzio vicino a lei.
 
 


«Se lui è morto, non mi sento fortunata ad essere stata salvata - singhiozza oggi Francesca, l’unica dei sopravvissuti a non aver mai rilasciato vere interviste -. Sto ancora troppo male per Stefano. Tenevo troppo a lui e al nostro rapporto. Proprio per rispetto suo, non mi sento di parlare a lungo di quanto accaduto. Quando sarò pronta, lo farò, ma ora no. Non è il momento». 
LA TRAGEDIA
Ventinove morti, 11 salvati. Tutti in qualche modo fantasmi. Due piccini rimasti orfani forse potranno curare le loro ferite. Francesca no. Perché quella a Rigopiano doveva essere una vacanza indimenticabile. Perché era stata lei stessa a volerla e a organizzarla per festeggiare il compleanno, 28 anni, di Stefano. «Perché è come se io stessa l’abbia portato a morire» ammutolisce tra le lacrime lei.
«Da una parte - racconta il papà Gaetano - siamo felicissimi per averla potuta riabbracciare, di averla qui vicino a noi. Dall’altra io e mia moglie siamo quasi caduti in depressione nel vederla stare male. Il pensiero di Francesca è sempre rivolto a Stefano. Sta provando a reagire, ma è quasi sempre a casa. Se esce lo fa solo con me e la mamma o con qualche amica. Si sente spesso con i due fidanzatini di Giulianova, Giorgia Galassi e Vincenzo Forti, che erano con lei sotto le macerie dell’albergo. Solo loro, in questo momento, forse possono capire un po’ di quello che sta provando. Con gli altri però non si sente di parlare, non vuole ricordare niente. Troppo dolore. Stanno cercando di aiutarla degli psicologi. Sta facendo un percorso terapeutico».
Rigopiano, un mese dopo. Per placare lo strazio del ricordo Francesca è andata da Giorgia e Vincenzo, loro sì veramente fortunati. «Ci sentiamo spesso - dice Giorgia - e proprio ieri è venuta a trovarmi a Giulianova. Abbiamo passeggiato per il lungomare, abbiamo stabilito un rapporto dapprima nato dal grande dolore, ed ora dalla volontà di ripartire insieme verso il traguardo di una vita normale. La nostra è diventata una grande amicizia. Ci sosteniamo moralmente. Lei è intelligente, prima o poi riuscirà a superare questo momento tremendo. Quanto a me e Vincenzo, anche se siamo salvi entrambi, nessuno può sapere quanto questa vicenda ci abbia segnato nel cuore e nell’animo».
 
L’ATTESA FATALE
Al momento della valanga Francesca e Stefano stavano aspettando insieme a tutti gli altri ospiti dell’albergo di poter tornare a casa. Avevano lasciato le stanze e aspettavano l’arrivo dello spazzaneve nella hall. Loro due a sorseggiare un thè. I bimbi giocavano nella sala biliardo, mentre la gran parte degli altri ospiti era nell’open space. In un attimo tutto è stato buio. L’albergo trascinato e seppellito dalla valanga. 
Sulla tomba di ghiaccio indaga il procuratore Cristina Tedeschini. Gli avvisi di garanzia sono nell’aria e incrimineranno la mancata segnalazione del rischio, la pessima gestione dell’emergenza e chi ha permesso di trasformare una vecchia locanda in resort di lusso. Non a caso, l’ultimo atto d’indagine riguarda la variazione del piano regolatore generale di Farindola affinché l’hotel Rigopiano nel 2007, non ancora funzionante (lo sarà nei primi mesi del 2008), potesse realizzare su 5.340 metri quadrati di area agricola il centro benessere e le strutture portanti in legno. Opere che forse non si dovevano fare.
 
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