Forum con Renzi: «Referendum, non si vota per me né sullo spread. Questa è la riforma di tutti»

Matteo Renzi
di Marco Conti e Alberto Gentili
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Martedì 29 Novembre 2016, 13:08 - Ultimo aggiornamento: 2 Dicembre, 12:21

Borse in altalena, mercati in ansia. Siamo attrezzati per affrontare, in caso di vittoria del No, un'eventuale tempesta finanziaria in stile 2011
«Credo sia il tempo della responsabilità. Si vota su un quesito referendario ed è giusto che gli italiani siano chiamati a decidere sul quesito indicato sulla scheda. E' evidente che la situazione politica abbia un riflesso sui mercati e sulla stabilità economica del Paese. E' sempre stato così e sarà così sempre. Ma penso che il senso di responsabilità imponga a tutti di evitare toni sbagliati. Trovo che ci siano motivi per votare Sì indipendentemente da ciò che si dice all'estero. Dopodiché dico anche che l'Italia non è nella condizione del 2011. E' evidente che il Paese è più forte e stabile con il Si, ma non è questo l'argomento del voto. Non si vota sullo spread, dobbiamo andare a votare per ridurre le poltrone dei parlamentari, metter fine al bicameralismo perfetto che abbiamo solo noi, per abbassare gli stipendi dei consiglieri regionali».

 


Quand'anche vincesse il Sì c'è chi pensa che la ricapitalizzazione delle banche sia difficile perché i costi sono elevati e i mercati non si fidano. Altrove si è proceduto alla nazionalizzazione. E' pronto a fare altrettanto?
«Sarebbe da irresponsabili discutere ora di questo. Quel che è certo è che il sistema bancario italiano sconta il clamoroso errore del 2012-2013 quando non si è voluto fare l'intervento di sistema che ad esempio la Merkel ha fatto con 247 miliardi di euro. Se l'avessimo fatto anche noi non avremmo avuto problemi. Dopo il 5 dicembre entriamo comunque in una realtà nuova sia che vinca il Sì che il No. Se vince il Sì, l'Italia è più forte in Europa perché come premier avrò un arco di tempo più ampio rispetto ai colleghi e la possibilità e il dovere di organizzare l'appuntamento di Roma di marzo 2017. Inoltre avrò alcune proposte da portare al tavolo sulla crescita, sull'immigrazione, sul sistema del credito. Naturalmente se vince il No sarà tutto diverso».

Se vince il Sì cosa pensa di fare? Rafforzerà ad esempio il suo esecutivo?
«La maggioranza degli italiani sta decidendo in queste ore e non lo fa sulla base del dopo, ma del quesito. Per me la priorità, da qui a venerdì notte, è quella di andare il più possibile a spiegare con chiarezza quali sono i punti del Sì e perché è utile per l'Italia e per i nostri figli. Tutto il resto appartiene ad un altro mondo e dopo il 4 dicembre, comunque vada, si rifletterà. Mia moglie mi dice sempre: Guarda che voi state dalla mattina alla sera a discutere dell'articolo, del lancio di agenzia, ma noi che accompagniamo i figli a scuola, non abbiamo tempo per seguirvi in tutte le vostre considerazioni. La gente decide nell'ultima settimana come votare».

Più volte lei ha parlato di governo tecnico e di eventuali dimissioni. L'unico antidoto al governo tecnico è un reincarico a lei. E' una strada percorribile e a quali condizioni?
«Sono convinto che vincerà il Sì e quindi non rispondo a ipotesi che come minimo non mi piacciono. Ho parlato sin troppo di me in questa campagna elettorale. Un po' per carattere, perché non sono come quei politici che pur di restare aggrappato alla poltrona inventano tutto e il contrario di tutto. Un po' è stato anche un errore perché ho consentito alle opposizioni di non entrare nel merito. Io vorrei parlare del bicameralismo paritario, dell'articolo 70, dell'elezione dei senatori, che è democratica e diretta. Quando e se verrà il tempo ne discuteremo. Ora nelle mie ipotesi c'è solo la vittoria del Sì».

Comunque vada lei avrà un pacchetto di voti perché chi vota Sì, vota la sua riforma. Questo capitale politico, personale, come intende spenderlo?
«Non è un voto su di me o per me. Sarebbe un clamoroso errore se lo considerassi tale. Tante donne e uomini di Forza Italia, della destra, del M5S hanno voglia di votare Sì e io non voglio essere un ostacolo. L'elettore tipo dei Cinquestelle che non ne può più e vuole il cambiamento, che non sopporta le immagini dei parlamentari M5S che sfilano al tribunale di Palermo avvalendosi della facoltà di non rispondere, vogliono cambiare e ora lo possono fare. Dopo il 4 dicembre quei voti non esistono più e non li considero un patrimonio personale. D'altra parte anche ai referendum di Marco Pannella sul divorzio o sull'aborto si votò prescindendo dalle posizioni politiche di ognuno».

Qual è la percentuale di affluenza che permetterà di dire che la riforma è condivisa?
«In questo referendum non c'è quorum. Per come il costituente ha scritto la Costituzione, la riforma è di tutti nel momento in cui passa con il 50 per cento più uno, è più che sufficiente. Poi, secondo me, voterà un sacco di gente».

Non sarebbe stato meglio cambiare l'Italicum prima del referendum?
«Abbiamo detto che lo cambiamo insieme agli altri e gli altri ci hanno chiesto di cambiarlo dopo il referendum. Era tecnicamente impossibile farlo prima. Penso che l'Italicum sia un'ottima legge, non una buona, ma un'ottima legge e l'hanno votata anche quelli di Forza Italia sia alla Camera che al Senato. Poi in terza lettura hanno cambiato idea. Detto questo, si vuol cambiare? Si cambi insieme, ma era impossibile farlo prima».

Presidente, c'è la disponibilità dei grillini a rivedere insieme la legge elettorale dopo il referendum. Non teme di fare la fine di Bersani del 2013?
«I Cinquestelle sono stati il primo soggetto a cui ci siamo rivolti per fare la riforma costituzionale. Era il 15 dicembre 2013. Ho fatto una proposta a Beppe Grillo che mi ha risposto insultandomi. Il 2 gennaio, per essere sicuro che la leggessero, ho fatto intervista al Fatto quotidiano e ho detto: Facciamo un patto insieme sulla riduzione dei costi, sul Senato e sulla legge elettorale. Mi hanno risposto picche. Adesso una volta dicono che vogliono l'Italicum, una volta il proporzionale... Nel merito, la riforma dice ciò che Grillo sosteneva al vaffa day. L'Elevato - come si autodefinisce Grillo, anche se ciò non gli consente di evitare le buche di Roma - ha spiegato che non bisogna votare con il cervello. Clamoroso! Perché - pensa - se questi leggono il quesito e la riforma, la votano. Noi siamo disponibili a discutere con tutti, ma ora tocca ai cittadini decidere e loro scelgono perché non sono - come dice Grillo - persone da indottrinare, ma scelgono e non ascoltano ciò che gli dice Renzi o Grillo. Leggono, si informano. Compito nostro smentire le bufale che vengono dette».

Per esempio?
«Sulla elezione dei senatori. Ieri l'altro un ragazzo di vent'anni mi ha detto: con la riforma non eleggo più i senatori. Gli ho detto guarda che prima non li eleggevi perché non hai 25 anni. Adesso lo farai perché avrai una scheda dove metterai la X sul tuo senatore».

Ma così come sarà il Senato non diventerà inutile?
«No, sarà una camera sul modello austriaco, francese e tedesco, dove porti i territori. Perché il presidente della Lombardia, nove milioni di persone, non può dare il suo contributo? Funziona così in tutto il mondo! La gente è molto, molto, più saggia di quello che pensano i politici. Ed è per questo che nutro una profonda fiducia sul risultato e in ogni caso un profondo rispetto per come andrà a finire. Alla fine la cosa che mi dà grande serenità è che decideranno i cittadini e se voteranno No ci terremo questo sistema. A me basta avere in scienza e coscienza il cuore di poter dire ci ho provato. Vi ho fatto vedere come potrebbe essere un sistema più semplice e più chiaro. Volete tenervi la casta? Amici come prima».

Lei è anche segretario del Pd. Questo referendum è anche l'anticipo del congresso?
«Questo referendum non è il congresso del Pd che va fatto entro l'8 dicembre del 2017. Tutte le volte che viene dipinto in questo modo si fa un danno alle ragioni del Sì che sono diverse dal dibattito interno al Pd. Questo referendum si vince convincendo gli elettori non schierati politicamente. Il giorno dopo il referendum discuteremo anche del Pd. Ora la discussione è come riformare questo sistema. Ma vi sembra che i francesi siano più stupidi di noi? Perché loro hanno un sistema con una camera sola che dà la fiducia e un'altra dove sono rappresentati i territori? Il congresso del Pd non c'entra nulla. Si decide sulle poltrone del Senato, sul Cnel, non su Bersani o D'Alema».

Alle sue spalle è ricomparsa la bandiera europea? E' stata una richiesta di Mattarella, di Prodi o di Juncker?
«Ho letto un mucchio di dietrologie. La bandiera non è mai sparita dagli incontri istituzionali. Dovevo fare il Matteo-risponde e avevo appena avuto una leggera discussione con Bruxelles sui fondi per il terremoto e ho avuto una reazione. Semplice. Quando è partito tutto il caos ho detto fermi tutti, rimettiamo la bandiera europea. Il punto vero è che adoro l'Europa, ma questa qui non mi piace. E se avremo responsabilità in futuro, la cosa che chiederò al Parlamento è di mettere il veto sul bilancio europeo se non si risolve la questione immigrazione. Tanto capiscono solo il linguaggio del portafoglio. Noi, grazie al governo tecnico, diamo all'Europa 20 miliardi all'anno e indietro ne riprendiamo 12. Un capolavoro! Ma uno dice, dietro c'è un grande disegno e sono costretto a darglieli. Bene! E a chi vanno? A quei paesi dell'est Europa che mi mettono il muro agli immigrati? Non c'è problema. Io vado in Parlamento e chiedo formalmente di poter mettere il veto. Vediamo chi mi dice di no».

Lei chiede agli italiani di votare Sì anche per rendere il governo più forte in Europa. Come pensa di giocarsi l'eventuale vittoria, in particolare su migranti e crescita?
«Siamo a un bivio: dentro o fuori. Forti o deboli. Il 15 e 16 dicembre a Bruxelles è in programma il Consiglio europeo. E se vinci in quel vertice hai uno spazio pazzesco, sei estremamente autorevole. Se perdi sei meno forte, per usare un eufemismo. Tant'è, che tutti gli analisti concordano sul ruolo che potrebbe avere l'Italia in caso di vittoria del Sì, compresa la partita delle nomine: a breve andranno scelti il nuovo presidente del Parlamento europeo e il nuovo presidente del Consiglio europeo. Però io non chiedo il Sì per questo, ma per abolire il Cnel, per ridurre il numero dei parlamentari, etc».

Prima la Brexit e poi le elezioni americane hanno rivelato un uso distorto dei social media, con una valanga di quelle che lei ha definito «balle spaziali». Il fenomeno è forte anche in Italia, pensa vi sia una regia?
«La cosa migliore in questi casi è uscire dalla cultura del complotto. Se a Roma ci sono i frigoriferi in mezzo alla strada, non è un complotto. E' la conseguenza del fatto che il Comune si è dimenticato di fare il bando per la raccolta dei rifiuti ingombranti. Se qualcuno ha delle bufale che vengono viralizzate non è un complotto, è una strategia di propaganda che c'è sempre stata, ma che il web amplifica ed esalta. E c'è solo da andare punto punto, con fatica e tenacia, a smontare queste balle una per una. Sento dire delle cose impressionanti, l'ultima è stata che nel mio Paese che si chiama Rignano sull'Arno e ha seimila abitanti, sarebbero state trovate 500 mila schede elettorali già votate. Ecco, questa balla la trovo bellissima: a Rignano manco ci sono tante schede. C'è anche chi dice che non è vero che la riforma del Senato porta a risparmi per 500 milioni. Invece è così: ci sono 50 milioni di risparmi per gli stipendi netti dei senatori, poi hai gli staff e i fondi ai partiti: il Pd in una legislatura prende 30 milioni dal Senato e Grillo prende 12 milioni che utilizza per pagare l'affitto e le bollette ai dipendenti, come Casalino, del suo ufficio comunicazione. Ma vi rendete conto?! Soldi pubblici per pagare case e bollette...».

Molti si chiedono perché non avete abolito del tutto il Senato.
«Per la verità si poteva abolire. Ma questa riforma non è figlia di una proposta-Renzi. Noi abbiamo fatto una bozza e l'abbiamo mandata ai professori che ce l'hanno vistata ed è diventata disegno di legge costituzionale. Dopo di che, ci sono stati quattro passaggi tra Camera e Senato: cinquemila votazioni, 122 modifiche. Capite? 122 modifiche apportate, spesso, su proposta di quelli che adesso votano No. Mi dò un pizzicotto e mi chiedo: ma com'è possibile?!».
A Roma, come ha dimostrato il ballottaggio di giugno, è possibile che domenica si saldi il voto grillino a quello di destra. Come pensa di convincere i romani a sostenere il Sì per evitare che la città diventi la capitale del No?
«Personalmente credo che i romani, come tutti i cittadini italiani, voteranno in base alle proprie valutazioni in modo libero. Non penso che un elettore voti come dice il suo sindaco. Al referendum ognuno vota come gli pare, non come comandano i partiti».

Però a Roma c'è tanta rabbia. Quale spiegazione si dà?
«A Roma la Raggi ha vinto con il 67% dei voti, i due-terzi. Massimo rispetto: adesso ha il compito di governare la città. Punto. Non faccio polemiche con lei. Mi colpisce però che il sindaco porti in discussione in Consiglio comunale una delibera sul referendum, istituzionalmente è poco comprensibile. Nei miei primi sei mesi da sindaco, ho pedonalizzato piazza del Duomo, ho messo 30 milioni per riparare le buche, per comprare i bus e ho messo le pensiline intelligenti e i cassonetti interrati. Non ho fatto delibere sulla politica nazionale. Detto questo, rispetto il sindaco Raggi e le ribadisco la disponibilità del governo. Ma la invito, con il massimo rispetto istituzionale, a considerare il governo non come una controparte politica».

Il sindaco Raggi, che ieri lei ha rimproverato di non aver presentato le richieste necessarie per siglare il Patto per Roma, chiede le risorse che il governo aveva stanziato per le Olimpiadi. Cosa le risponde?
«Forse il sindaco Raggi spera di avere chance maggiori se vi fosse un governo tecnico. Personalmente offro la massima disponibilità. Con la Appendino e Chiamparino stiamo lavorando insieme. Suggerisco al sindaco di Roma, se posso permettermi, di utilizzare lo stesso metodo usato dal sindaco di Torino che ha fatto un accordo con il governatore del Piemonte e vanno avanti insieme. Zingaretti è una persona solida, saggia e di buonsenso, pronta dare una mano: non c'è alcuna volontà malevola contro l'amministrazione capitolina. Dopo di che non è che posso essere io a chiedere: Per piacere ricordati del tuo bilancio. Quanto ai soldi delle Olimpiadi, qui rischiamo di diventare la barzelletta del mondo: volere i fondi delle Olimpiadi e non le Olimpiadi è davvero strano. E' chiaro che se ci sono le Olimpiadi, scatta l'investimento-Paese, altrimenti no».
Secondo lei, perché Roma è scivolata all'ottantesimo posto nella classifica delle città dove si vive meglio?
«Non conosco bene Roma, ci vivo da due anni in una sorta di eremo. Sto chiuso a palazzo Chigi per scelta e credo di aver fatto bene a vivere questi mille giorni di governo lontano dai salotti. Questo mi ha permesso di fare delle scelte non basate sulle appartenenze e sulle amicizie. Alla guida delle grandi aziende abbiamo messo professionisti scelti per i loro curriculum e non per le eventuali frequentazioni salottiere: Descalzi, Caio, Moretti, Del Fante, Mazzoncini, nessuno viene dal Giglio Magico. Detto questo, Roma è una città di una bellezza struggente e con potenzialità impressionanti. Certo, deve sciogliere il nodo come tutte le capitali del rapporto con il sistema pubblico e deve sviluppare le sue potenzialità legate alla cultura, alla bellezza, alla storia, al Vaticano, coniugandole con università, innovazione e talento. Servirebbe un grande piano strategico per la città».

Roma non può essere una Disneyland del turismo, è anche una città in cui si lavora e si vive: è anche la Capitale del pubblico impiego: nelle prossime ore discuterete il rinnovo del contratto, c'è un progetto del governo per ridare dignità e motivazioni agli impiegati pubblici?
«Il pubblico impiego in Italia è stato bloccato per 7 anni, è stato costretto a una botta di turn-over e ora la spesa per il pubblico impiego è più bassa di quella degli altri Paesi. La vera scommessa è sbloccare un po' di risorse, e noi siamo pronti a farlo, mettendo sul piatto 85 euro in media. Ma il punto vero è che bisogna anche cambiare le regole del gioco e la necessità della riforma costituzionale è dimostrata dal fatto che non si possono licenziare i furbetti del cartellino senza l'autorizzazione del Molise e non si possono ridurre le municipalizzate senza l'autorizzazione del Veneto. Roba che non sta né in cielo, né in terra. La mia opinione è che sul pubblico impiego vada fatto un ragionamento strategico: bisogna dare agli statali formazione, qualità, fargli capire che non sono dei potenziali fannulloni, ma dei potenziali leader di questo Paese. Dopo di che, rivolgo un appello ai sindacati affinché oggi si chiuda il rinnovo del contratto, il governo si siede al tavolo con le migliori intenzioni».

Visto che la trattativa cade a 4 giorni dal referendum e la platea dei lavoratori pubblici è di 3 oltre milioni, sarete costretti a siglare l'intesa...
«Dipende dai sindacati, magari si trovano meglio con un governo tecnico.
E comunque non offriamo 85 euro in più per avere i voti del dipendenti pubblici: la gente non vota Sì o No sulla base del rinnovo del contratto, ma perché le piace o non le piace la riforma costituzionale».

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