UN AMMONIMENTO
Ma la massa di giovani che si è riversata nelle strade di New York, Boston, Washington, Chicago, Filadelfia ecc. sente di dover mandare un messaggio subito, quasi un ammonimento. Not my president è il cartello che si vede più spesso: «Sono arrabbiata che Trump sia presidente. Bisogna aggiustare il nostro sistema elettorale ha detto la ventenne Whitney Drew, di Boston -. È stata Hillary a vincere il maggior numero di voti!» Molti esprimono timore per il futuro dei diritti civili, soprattutto alla luce del fatto che Donald Trump potrà scegliere i giudici della Corte Suprema, che ha il potere di pilotare la società e i suoi costumi: «Non ci credo che sono ancora qui a difendere i miei diritti!» diceva un cartello esposto davanti al grattacielo Trump di Chicago, dove nella notte di mercoledì vare migliaia di manifestanti hanno lamentato che «una nazione che ha fatto tanti passi avanti ora ne farà tanti indietro« secondo le parole di una giovane donna. A Washington, davanti al nuovissimo Trump International Hotel, aperto poche settimane fa, la folla ha manifestato al suono dello slogan: No Trump, no KKK, no fascist Usa, e sfoggiando cartelli con la frase Godetevi i vostri diritti finché li avete e No hate, no fear, immigrants are welcome here (No odio, no paura, gli immigrati sono benvenuti qui).
IN CHIAVE COMICA
Qualcuno ha tentato anche la protesta comico-grottesca, con il cartello Tra un po' ai poveri non resterà nulla da mangiare che i ricchi. A Los Angeles centinaia di giovani di origine latino-americana hanno protestato gridando «Non voglio vivere nella paura», «Gli immigrati rendono grande l'America», «Noi non siamo l'America di Trump» e «Si se puede!» Molti dei manifestanti nella città californiana esprimono infatti il timore che Trump abolisca subito uno dei decreti di Obama quello che garantiva ai cosiddetti dreamers (sognatori) il permesso di rimanere negli Usa se erano stati portati dai genitori in modo illegale quando erano bambini.
Le manifestazioni sono tutte spontanee, e annunciate attraverso il tam-tam dei tweet. L'hashtag NotMyPresident è diventato un modo di tenersi in contatto, e ce ne sono per diverse città. Già annunciano una manifestazione nazionale proprio per il 20 gennaio, giorno dell'insediamento di Donald Trump. Il concentrarsi delle proteste intorno ai grattacieli di Trump crea non poche difficoltà alla polizia, soprattutto a New York, dove il presidente eletto vive, proprio nella Torre sulla Quinta Avenue, nell'isolato compreso fra la 56 e la 57esima Strada.
Il suo lussuoso appartamento, famoso per l'arredamento sfarzoso con una forte preferenza per gli specchi e gli ori, è al 66esimo piano. Ma nella Torre ci sono anche uffici e altri appartamenti, e gli occupanti dovranno ora sottoporsi ai controlli del servizio segreto, che ha in mano la sicurezza del presidente eletto: «Certo questa non è una casa in campagna» hanno ammesso gli agenti. Il servizio segreto è notoriamente severissimo su ogni azione che riguardi il presidente, che di fatto diventa lui stesso prigioniero delle regole che lo proteggono. E gli agenti hanno già detto a Trump che proteggerlo in quella Torre sarà difficilissimo, e non solo per le manifestazioni, che sembrano destinate a continuare, ma anche per la folla di turisti e curiosi che perennemente si sofferma sull'incrocio.
ARRAMPICATI SUI LAMPIONI
Nella notte di mercoledì, la prima notte di proteste, 15 manifestanti sono stati arrestati proprio davanti alla Trump Tower. Alcuni si erano arrampicati sui lampioni, altri avevano tentato di superare le barriere e avvicinarsi all'ingresso della residenza: «Quell'uomo non è il mio presidente e voglio gridarglielo in faccia» ha protestato una ragazza, mentre la polizia le metteva le manette.