Quella canzone, ha detto The Boss al giornale americano, è “ancora al centro” del suo lavoro. “Quando viene il momento di suonarla, durante i concerti, è una cosa monumentale”. Anche per questo sorprende apprendere, dal libro-confessione di Springsteen, che il futuro autore di “nato per correre”, e di tante canzoni on the road, era un pessimo guidatore: a vent’anni non era riuscito a ottenere la patente. Così come soprendono - come scrive la rivista - le parole dello storico chitarrista Van Zandt, che descrive il futuro Boss a metà degli anni Sessanta, in New Jersey. Springsteen allora suonava in una band chiamata The Castiles, mentre il futuro Little Steven era il frontman di un gruppo chiamato The Shadows. “Vedevi un tipo sporco, con i capelli lunghi, che fissava le sue scarpe: era lui - dice Van Zandt - la gente si chiedeva: ma perché esci con quel tipo? è così strano. Qualcuno pensava che fosse matto”. Lo stesso Boss ammette: “Da ragazzo ero un tipo misterioso, imbarazzante e piuttosto ordinario”. Eppure, Springsteen era anche una persona molto determinata, ed è questo che lo ha portato a diventare la rockstar di oggi, come conferma Little Steven.
Ma le stranezze di Springsteen erano reali. Il primo consulto con uno psichiatra risale a trent’anni fa. Sono tanti i disturbi da lui segnalati: agorafobia, autolesionismo… Nel libro si parla molto della sua depressione, ai tempi dell’album Wrecking Ball, quando dedicò una canzone alla malattia. “Sono stato completamente K.O. tra i 60 e i 62 anni, poi sono stato meglio per un anno, e malissimo per i due anni successivi”, ha confessato. Lo stesso Boss aveva parlato una prima volta del male oscuro, nel 2012, in interviste che avevano fatto molto discutere. Quando arrivano le prime avvisaglie del male, è sempre la moglie Patti Scialfa a intervenire: “Mi porta dal medico e gli dice: quest’uomo ha bisogno di una pillola”.
Forse anche scrivere “Born to Run” è stata una terapia.
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