Regeni, i vicini di casa interrogati: «La polizia non è mai venuta qui»

Giulio Regeni
di Cristiana Mangani e Sara Menafra
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Mercoledì 17 Febbraio 2016, 09:08 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 15:59

Bisognerà aspettare ancora qualche giorno e poi, forse, l'Italia avrà definitivamente chiaro fino a che punto l'Egitto abbia deciso di collaborare sull'indagine per l'omicidio di Giulio Regeni. L'impegno è che tra domani o dopodomani al massimo si svolgerà un briefing per aggiornare il nostro team sui risultati ottenuti dagli inquirenti coordinati dalla procura di Giza, e dopo questa riunione verrà preparata un'informativa che verrà inviata al pm Sergio Colaiocco, titolare del fascicolo a piazzale Clodio.

Ma se il buon giorno si vede dal mattino, sembra già di poter essere poco ottimisti. In queste settimane la polizia egiziana ha sentito decine di testimoni, tutte persone che ruotano intorno al mondo e alle conoscenze di Giulio. La versione ufficiale è che da loro cercano di sapere chi frequentasse, se avesse conosciuto persone che possano aver frainteso l'interesse per i sindacati egiziani. Qualcuno che ne abbia tracciato un quadro personale che non corrisponde a quello che realmente era questo brillante studioso di politica internazionale.

Il Cairo vuole veramente far sapere all'Italia chi ha ucciso e torturato Giulio Regeni? Di certo, la polizia e gli inquirenti locali sembrano più orientati a trovare testimoni che smontino la versione di un sequestro a opera dei servizi segreti o di apparati paramilitari vicini al governo di Al Sisi: quella che rimane, anche sui media del resto del mondo, la tesi più accreditata.
 
GLI INTERROGATORI
E infatti, ieri mattina, hanno consentito ai nostri investigatori di presenziare agli interrogatori dei due coinquilini di Regeni: la giovane tedesca Juliane Schoki e l'avvocato esperto di Diritti umani, Mohammed El Sayed. E tutti e due hanno negato di aver mai visto la polizia nel loro appartamento o anche nel palazzo. «Nessun controllo, Giulio era tranquillo», hanno affermato. Una versione che sembra smentire le dichiarazioni rese da alcuni testimoni al quotidiano americano Nyt, che parlavano di blitz della polizia e di Regeni portato via dopo essere stato fermato casualmente nei pressi di casa. In questa storia, però, l'unico elemento certo tra ricostruzioni approssimative e ipotesi fantasiose, è che dal momento del ritrovamento del cadavere c'è stata la corsa al depistaggio. Con l'obiettivo, goffo, di allontanare le responsabilità dagli apparati vicini al governo.

Resta, dunque, la presa di posizione netta della famiglia del ricercatore friulano che ribadisce con fermezza che Giulio non era una spia e che non ha mai avuto rapporti con i servizi segreti. Su questi aspetti non è escluso che gli inquirenti sentano nuovamente Gennaro Gervasio, docente dell'università britannica del Cairo con cui Regeni aveva appuntamento il 25, che delle dinamiche egiziane conosce molte sfaccettature al punto da essere intervistato nel giugno del 2014 da ”Lookout News”, rivista di ”geopolitica e intelligence” che ha come direttore scientifico l'ex capo dei servizi Mario Mori. Il pezzo s'intitolava «Tutte le strade portano ad Al Sisi» e affrontava il potere dei militari nella società egiziana.

COMPUTER E CELLE TELEFONICHE
Nuovi elementi potrebbero arrivare dal computer di Giulio che conteneva l'archivio-schedatura di tutti i contatti utili e degli elementi necessari a ricerche e interviste. È tra quei dati che si cerca una possibile verità, ma anche tra i numeri contenuti nei tabulati telefonici o nelle ultime chiamate che il ricercatore potrebbe aver effettuato prima di sparire per sempre. Dati sui quali si sta cercando di indagare attraverso i tabulati e i riscontri sulle celle agganciate dai telefonini. Anche per capire se tra le 19,40 e le 20,25 quando il suo apparecchio ha smesso di mandare segnali, era solo o c'era qualcuno con lui.

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