«E' un dato moderatamente interessante, che sicuramente evidenzia un trend positivo che avevamo già riscontrato nel maggiore rispetto delle regole da parte delle stazioni appaltanti. Il fatto che siano aumentati i controlli della Gdf e che sia stata registrata una minima ripresa nel settore, sia pure limitatamente al Nord, è incoraggiante. Ma stiamo comunque parlando di numeri di irregolarità che restano significativi e da non sottovalutare, perché l'Italia ha bisogno di rimettere in campo un meccanismo di ripresa negli appalti. La necessità di riportarli nelle regole serve anche a rilanciare l'economia; aumenta i partecipi alle gare, e quindi, migliora la concorrenza, e consente di portare a termine i lavori, non lasciando cattedrali nel deserto».
«Mi lasci dire che l’indicazione Ocse è per noi una grande soddisfazione. Il ”modello Milano” lo abbiamo inventato grazie al supporto del piccolo gruppo della Gdf che lavora presso l'Anac. I controlli sono stati rigorosi e le irregolarità riscontrate sono stare sanate senza impedire la realizzazione dell’opera. Abbiamo poi esportato ed esteso questo istituto di vigilanza collaborativa ad un'altra ventina di stazioni appaltanti, tra cui le Regioni Lazio e Campania, che hanno chiesto volontariamente di sottoporsi agli stessi controlli dell'Expo».
E per il Giubileo? Roma ha meno anticorpi di Milano? O si riserva sulla prognosi?
«Il percorso è indubbiamente più complesso. La stazione appaltante di Roma è una macchina assai più complicata, che ha subito cambiamenti. Siamo comunque riusciti a bloccare in anticipo il primo degli appalti sospetti del Giubileo, aggiudicato a un imprenditore che il giorno dopo è stato arrestato per un'altra vicenda. Nonostante le difficoltà, anche a Roma il meccanismo va sempre più verso la trasparenza. Con tutti gli appalti del Giubileo, che non erano numericamente rilevanti, siamo in dirittura d’arrivo. Per il resto, con il comune di Roma continuiamo il protocollo di vigilanza collaborativa stipulato con Marino».
«Sarà un grande cambiamento, molto profondo. La legge delega introduce novità rilevantissime, che prevede un meccanismo di semplificazione delle regole e la creazione di regole secondarie che vedranno l'Anac come ente regolatore».
«Sì, sarà ampliato in modo significativo il potere dell’Autorità. Saremo non solo un organismo di vigilanza ma di regolazione dell’intero sistema degli appalti. E questa è la vera grande scommessa del codice. Ad esempio, il vecchio regolamento degli appalti sarà sostituito dalle linee guida che dovranno essere proposte dall’Anac e poi recepite dal ministro delle infrastrutture».
«Una delle grandi novità del codice è che non tutti potranno fare tutto. Non è pensabile, come è accaduto sino ad oggi, che un comune di 500 anime possa gestire appalti da un miliardo di euro. Ogni stazione appaltante dovrà avere background e competenze per poterlo fare. E il sistema di qualificazione della stazione appaltante spetterà all’Anac. Rafforzando le linee guida e la competenza di chi si occupa di appalti, si amplierà il meccanismo della discrezionalità: le amministrazioni e le stazioni appaltanti potranno d’ora innanzi interloquire col mercato. Con la legge del 2006 non era possibile e abbiamo visto tutti come sia andata a finire: non è servito a eliminare la corruzione nè a far ripartire gli appalti, ma ha solo ingessato ancor di più la macchina e ha aperto la strada alle deroghe».
«L'Anac nel giro di un anno si è posta come punto di riferimento di una serie di questioni e questo è per me una ragione di vanto e di soddisfazione. Ma non appartengo alla schiera di quelli che chiedono sistematicamente aumenti di risorse. Il 2016 sarà per noi un anno di svolta. Le novità che ci aspettano sono molte, dal nuovo codice degli appalti all’attuazione del decreto sulla trasparenza sulla Pa fino agli arbitrati. Una volta che saranno individuati con precisione i nostri poteri, verificheremo se sarà necessario rafforzare anche la struttura».
«Aspettiamo i decreti per organizzarci. Ne serve uno che fissi i pres[/FORZA-RIENTR]upposti per accedere all’ indennizzo, che non è un risarcimento, e un altro che stabilisca la procedura e individui le modalità di coinvolgimento della nostra camera arbitrale».
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