Omicidio Yara, la scienza dà un volto all'Ignoto

Yara Gambirasio
di Paolo Graldi
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Martedì 17 Giugno 2014, 08:37 - Ultimo aggiornamento: 08:40
Se questa storia di Yara l’avessero scritta in un giallo, ammantato nella nebbia del bergamasco, tra sterpi secchi e rugiada gelata, l’avrebbero liquidata come una melmosa vicenda gonfiata da sordide fantasie. E invece no. I quattro anni trascorsi dalla tragica morte della ragazzina di Brembate ci raccontano di una famiglia annientata dal dolore e dai fantasmi e dagli orchi, esemplare nella compostezza e nella sopportazione, instancabile nella speranza di afferrare il bandolo della matassa criminale.



Ci narrano, tutt’intorno, di una determinazione investigativa che ha attraversato abbagli di luce e profonde delusioni, critiche fondate ma anche affrettate e ingiuste, di una lotta per la verità che ha attraversato senza sonno lunghissimi anni. Ci mostrano della tenacia incrollabile di un gruppo di investigatori, affiatati, determinati a tenere il caso “caldo” e ci presentano la magnifica figura di una ricercatrice, l’anatomopatologa, che ha posto le basi per la soluzione del caso imboccando con l’arma del microscopio e della pazienza infinita (ben 18 mila prelievi setacciati) la pista giusta.



Un sollievo infinito ci prende. L’individuazione e l’arresto di Massimo Giuseppe Bossetti, l’uomo che ha rapito e ucciso Yara Gambirasio la sera del 26 novembre 2010, ci libera da un incubo, si palesa come una metafora della giustizia che insegue e persegue la verità senza stancarsi mai, nel segno di un dovere assolto verso la famiglia stretta nella morsa di un lutto infinito e, insieme, verso tutti noi, verso la società intera.



Oggi, sul fronte giudiziario che a tante delusioni e sbandamenti si espone, è un bel giorno: Yara sembra tornare a sorriderci non più attraverso le foto del suo tenero album di adolescente, i denti chiusi nella gabbietta per raddrizzarli, mille e mille volte pubblicato, a ricordarci che la caccia all’orco era sempre viva e attiva. È il sorriso, l’ultimo sorriso visto oggi, di una bambina che viene trascinata nel martirio più crudele: ignara, innocente, ingenua, trascinata in un campo nel gelo della sera d’autunno violentata e assassinata.



La scienza, la conoscenza e la coscienza hanno risolto il caso: riguardando i fotogrammi che lo compongono e non smettono di commuovere e di riempirci di angosciosi «perché?», si resta sbalorditi di fronte all’intreccio delle circostanze. Un padre morto che ha due gemelli, figli illegittimi, da una ragazza della zona durante una breve relazione di quasi cinquant’anni fa.



Riesumato il cadavere si acquisisce una prima certezza: è suo figlio l’assassino. Il ricercato appare come una nuvola imprendibile, evanescente. Una imponente indagine a tappeto, come la ricerca di un ago smarrito in un pagliaio, cerca di Un Dna compatibile, quella spirale che offre la quasi assoluta certezza della prova. Niente. Le comparazioni vanno vanti per mesi ma è buio fitto su quella traccia preziosa. L’”Ignoto”, così chiamato tra i ricercatori, resta tale a lungo.



Si deve passare anche attraverso il crudele rito della riesumazione del corpo della ragazza alla ricerca di elementi sfuggiti alle indagini della prima ora, su quel corpicino rimasto per tre mesi tra le erbacce, vicino a tutto e a tutti, non visto da nessuno. La svolta in aprile. Cristina Cattaneo, l’anatomopatologa, invincibile nella sua determinazione, consegna una relazione risolutiva: l’assassino è il figlio di Giuseppe Guerinoni di Gorno. Quell’uomo, forse è tra noi, ancora tra noi. Era vero. Incensurato, sposato, tre figli, abita a Mapello. Adesso dovrà riempire un incubo durato quasi quattro anni, il suo incubo di colpevole che sperava di non pagare mai il suo delitto mostruoso, ma soprattutto quello di chi porterà per sempre il lutto della famiglia di Yara. Che è anche un lutto di tutti.



L’imponente esposizione mediatica del caso, la faticosissima risalita verso la verità, hanno diffuso una partecipazione autenticamente sentita: qualcosa che ci riguarda da vicino, il senso di un pericolo attuale, che non ha volto e che potrebbe colpire chiunque.



Le tre parole del ministro Alfano («E’ stato identificato») hanno spazzato in un attimo un cielo gonfio dalle nubi nere del disincanto. Un bel giorno, oggi, per la giustizia che cerca la verità.
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