Tasse, le promesse di Renzi
e i conti con Bruxelles

di Roberto Stigliano
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Giovedì 27 Febbraio 2014, 17:59
Met maggio. Non oltre. E’ questo il termine entro il quale Matteo Renzi si gioca buona parte della sua credibilit. Il 25 maggio ci sono le elezioni europee ma prima il nuovo governo dovrà presentare l’aggiornamento dello stato dei conti pubblici tramite il Dpef (entro il 10 aprile) e inviare a Bruxelles il Programma nazionale di riforme (data ultima il 30 aprile). In mezzo ci sono i provvedimenti annunciati per far ripartire l’economia e rilanciare l’occupazione: taglio delle tasse sul lavoro, nuove normative per invogliare le imprese ad assumere, riforma della pubblica amministrazione, riduzione di spesa, pagamenti dei debiti dello Stato. Grandi promesse, grandi impegni. Alcuni interventi sono a costo zero, anzi dovrebbero consentire risparmi di spesa. Ma il taglio delle tasse, ovviamente, ha un costo. Renzi ha messo in campo circa 10 miliardi, una cifra che corrisponde più o meno allo 0,7% del Pil. Già, il Pil. Da Bruxelles non arrivano buone notizie: le stime di crescita per il 2014 si fermano allo 0,6%, cioè quasi la metà di quanto scritto nei documenti del governo Letta che ora Renzi e Padoan si apprestano ad aggiornare. E la Commissione europea ha detto senza mezzi termini che l’Italia deve fare uno sforzo aggiuntivo per tenere i conti sotto controllo e ridurre il debito. Non è la richiesta di una manovra aggiuntiva ma quasi. L’unica notizia confortante che arriva da Bruxelles riguarda il deficit stimato al 2,6% per l’anno in corso, ovvero sostanzialmente in linea con le previsioni italiane. Ma dietro questa cifra si nasconde una trappola: la stima incorpora già circa 3 miliardi di minor spesa per interessi dovuta al costante calo dei rendimenti dei nostri titoli di Stato. Senza quei 3 miliardi il nostro deficit sarebbe vicino al tetto del 3% previsto dai trattati europei. Ma senza quei 3 miliardi il tesoretto a disposizione di Renzi ereditato da Letta si riduce a circa 6 miliardi: 3 dalla parziale sanatoria sui capitali detenuti all’estero e altri 3 dalla spending review di Cottarelli. Qualche miliardo potrebbe arrivare dall’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie (interessi e guadagni di Borsa) ma è anche vero che nel frattempo il governo dovrà tirar fuori altri soldi per tamponare molte falle ancora aperte, a cominciare dal rifinanziamento della cassa integrazione. La strada è stretta. La linea di Renzi è chiara: presentarsi a Bruxelles con un pacchetto di riforme tali da convincere i burocrati europei a concederci più tempo per centrare l’obiettivo di pareggio strutturale di bilancio fissato al 2015 ma rimanendo in termini nominali sempre al di sotto del 3%. Tra quest’anno e il prossimo si potrebbero spuntare 15-17 miliardi. Ma non sarà facile. Al ministero dell’Economia Renzi ha dovuto accettare Pier Carlo Padoan, ex Ocse ed economista molto apprezzato negli ambienti internazionali. E, come ripete quasi tutti i giorni con ossessione sospetta il commissario Ue Olli Rehn, «Padoan sa bene quello che deve fare».