Sorrentino, La grande bellezza: Servillo a spasso in una Roma kitsch e sublime

Sorrentino, La grande bellezza: Servillo a spasso in una Roma kitsch e sublime
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Lunedì 27 Maggio 2013, 16:14 - Ultimo aggiornamento: 16:54

dal nostro inviato Fabio Ferzetti

CANNES - Una citt in cui il sordido sconfina nel sublime, il kitsch rasenta l’estasi, l’ignobile diventa spirituale. Un protagonista tutto abiti sgargianti e segreti

rimpianti, re della mondanità e fustigatore dei mondani, un occhio sul nulla variopinto in cui sguazza e l’altro sul nulla che lo divora da dentro. Un film bulimico, barocco, ora geniale ora perfino banale, fatto di maestosi movimenti di macchina, visioni notturne, personaggi che appaiono e scompaiono, immagini folgoranti o al contrario insistenti.

Nel travolgente e imperfetto La Grande bellezza tutto ha due facce e due velocità, come se la duplicità fosse la chiave a volte un po’ scoperta del lavoro di Sorrentino, della città che esplora e reinventa sulla scia di Fellini (più Fellini Roma che La dolce vita però). E naturalmente del suo protagonista Jep Gambardella: un Toni Servillo ancora più barocco e molteplice di tutto il resto, giornalista mondano e scrittore di un solo romanzo, schifato del mondo e di sé ma ancora curioso e capace di stupore.

È il lato più fecondo del film, che di festa in festa, di passeggiata in passeggiata, accumula incontri bizzarri, cortili segreti, grottesche epifanie trapunte di aforismi e bons mots com’è da sempre nello stile di Sorrentino. Ed ecco la terrazza di Jep, con vista sul Colosseo e sui giardini di un monastero, dove si consumano affettuose vendette e tediose riunioni mondane. Ecco che mentre quel gran fritto misto di giornalisti, galleriste, porporati, attricette, ex-attricette, nati ricchi, nati stanchi, veri mostri, trucidi generici, si insegue e si mescola tra balli e inviti «esclusivi», Jep fugge solitario e il ritmo cambia. Compaiono strane figure, come promesse di un mondo migliore o almeno diverso. Fanny Ardant sorridente nella notte, una giraffa persa a Caracalla, un amico (Giorgio Pasotti invecchiato e claudicante) che ha le chiavi di tutti i palazzi patrizi e dischiude meraviglie invisibili; mentre le vecchie principesse giocano a carte come portinaie in un salottino dimesso, e altri nobili si offrono addirittura a noleggio per occasioni ufficiali.

LA FERILLI

Ma La grande bellezza non è solo digressioni, apparizioni, squarci surreali e potenti sull’Italia di oggi (Massimo Popolizio chirurgo estetico che ha troppi clienti e li chiama col numeretto, come dal droghiere; Iaia Forte bersaglio di un artista-lanciatore di coltelli; i tre potenti volgari che distribuiscono poltrone facendo jogging sul Tevere, etc.). Da qualche parte Jep ha ancora un’anima, e la riscoprirà grazie al breve e insolito amore con una sorprendente Sabrina Ferilli, bella figura di spogliarellista attempata e paziente, fragile e carnale, cuore del segmento più vibrante del film. Eppure proprio su questo fronte il racconto mostra la corda. Tolto l’episodio della Ferilli, quando si avvicina a Jep, al suo unico vero amico (grande Carlo Verdone in un personaggio di ingenuo respinto dalle donne che meritava di più) o alla sua gioventù perduta, evocata da una faticosa sottotrama e inutilissimi flashback, tutto diventa ovvio e farraginoso. Le intenzioni sopraffanno la visione, Jep perde smalto e profondità, tutti quei tesori di acutezza e malinconia cadono nello stampo un po’ logoro dell’intellettuale amareggiato. E gli occhiali di Flaiano, poggiati sul naso del giornalista di provincia Verdone, più che un omaggio diventano un monito. Come se le due parti di cui è composto il grande affresco di Sorrentino - metà bloc notes brulicante di immagini e intuizioni, metà bilancio di una vita e una vocazione meno dense del necessario - non sempre combaciassero.

Poco da dire infine sul secondo film in gara, il fragoroso e pasticciato Wara no tate (Scudo di paglia) del sopravvalutato Takashi Miike. Due ore di azione sfrenata, con appena qualche bel momento, per la storia di un pedofilo killer su cui il nonno potente e ricchissimo di una delle piccole vittime mette una taglia da un miliardo di yen. Costringendo la polizia a sforzi immani per proteggerlo. E gli spettatori di Cannes a una noia non meno colossale.

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