L'ex ministra Fornero e quei
mea culpa che non arrivano

di Giusy Franzese
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Lunedì 9 Dicembre 2013, 19:35 - Ultimo aggiornamento: 17 Gennaio, 18:32
I numeri sono asettici. Non sono inficiati da pregiudizi, nemmeno involontari. Soprattutto se fanno riferimento a statistiche ufficiali. Per chi insegna in prestigiose università materie economiche e spesso è chiamato a conferenze anche internazionali, in genere basta una lettura, nemmeno particolarmente approfondita, per capire quei numeri. In genere. Capita, a volte, invece che non li si voglia proprio capire. Perché non fanno comodo. Perché bisognerebbe fare un mea culpa, riconoscere che ci si è sbagliati. Un esercizio coraggioso, non per tutti. Non per l’ex ministro Elsa Fornero, viste le ripetute, anche recentissime, sue dichiarazioni: «Rifarei tutto. Ho salvato l’Italia».



Qualche mese dopo l'entrata in vigore delle nuove regole sul mercato del lavoro, quando i primi effetti già sembravano andare in direzione opposta a quella immaginata dalla ministra e dall’allora premier (che di fatto le aveva dato carta bianca) Mario Monti, le repliche agli allarmi di imprese e sindacati furono: «È troppo presto per giudicare».

È trascorso quasi un anno e mezzo dall’entrata in vigore di una riforma che avrebbe dovuto sbloccare un mercato ingessato, innestare nuova linfa, offrire più opportunità ai giovani. E allora facciamo "parlare" i numeri, confrontandoli con gli obiettivi dichiarati nella conferenza stampa di presentazione della riforma sia dalla ministra che dal premier.



Obiettivo "meno disoccupazione" (dichiarazione, tra le altre cose, quantomeno scontata). Risultato: mancato. A ottobre 2013 (ultimi dati Istat) la disoccupazione giovanile è volata al 41,2%, un record assoluto per il nostro Paese, e con un aumento nel solo ultimo anno del 4,8%; quella generale è arrivata al 12,5%, che rappresenta il top negli ultimi 36 anni. Le persone in cerca disperata di un'occupazione sono tre milioni e 189.000 (+9,9% su base annua che in termini assoluti significa 287 mila persone in più). Informazione aggiuntiva: le medie europee, con un trend in miglioramento, sono più basse: 12,1% tasso di disoccupazione generale, 24,4% giovanile.



Obiettivo "piu' opportunità ai giovani". Risultato: mancato. Il dato disastroso sulla disoccupazione under 25 lo abbiamo già riportato. E se anche estendiamo il concetto di giovani fino a 30 anni, il peggioramento della situazione è sotto gli occhi di tutti: nella fascia di età tra 18 e 30 anni il tasso di disoccupazione nel terzo trimestre è arrivato al 28%, in aumento di 5,2 punti su base annua. Sono ormai oltre un milione gli under 30 a spasso.



Obiettivo "meno precarietà". Risultato: raggiunto. Ma non nel senso sperato. Anche trovare un contratto precario, di qualche mese, sottopagato e sottoqualificato, è diventata un’impresa disperata per molti. Per la terza volta consecutiva l’Istat registra un calo dei contratti atipici: nel terzo trimestre 2013 sono diminuiti dell’8,8% su base annua (-7,4% lavoro a termine, -17% collaboratori). In numeri assoluti si sono persi 253.000 posti (di cui 180.000 contratti a termine). La riforma ha posto più vincoli alle collaborazioni e ha aumentato i contributi per i contratti a termine con lo scopo di combattere la cosiddetta "flessibilità cattiva" e gli abusi. Intento nobile, ma strumenti scelti -soprattutto in un periodo di forte crisi come quello che stavamo e stiamo ancora attraversando - sbagliati.



Obiettivo "più contratti a tempo indeterminato". Risultato: mancato. Le assunzioni "fisse" su base annua sono diminuite dell’1,3%. I dati diffusi dal ministero del Lavoro sulle assunzioni effettuate nel terzo trimestre 2013 ci dicono che il 70% dei nuovi contratti è a termine, i contratti a tempo indeterminato sono stati appena il 15,4%, mentre il 6,4% di comunicazioni obbligatorie all’Inps ha riguardato contratti di collaborazione.



Obiettivo " rilancio dell'apprendistato". Risultato: mancato. Tra aprile e giugno scorso sono stati attivati solo 67.952 contratti di apprendistato, il 2,7% delle nuove assunzioni. Nel terzo trimestre si è scesi al 2,4%. Per il duo Fornero- Monti l'apprendistato doveva essere il «il trampolino di lancio per i giovani nel mondo del lavoro».



E meno male che le parti sociali tutte, in fase di confronto con la ministra, opposero un deciso no all'entrata a regime del nuovo sistema di ammortizzatori sociali (con la scomparsa della cig in deroga) già dal 2014. Ci saremmo trovati di fronte a una situazione sociale esplosiva. Basti pensare che, secondo, gli ultimi dati disponibili ben quattro milioni di persone in questo ultimo anno sono riuscite a sopravvivere solo grazie all'attuale sistema di ammortizzatori, che è più generoso nell’importo degli assegni e nella durata rispetto a quello messo a punto dalla Fornero e che comunque sarà a regime nel 2017.



Fin qui non abbiamo ancora affrontato l'altra riforma targata Fornero, quella sulle pensioni. Inutile ricordare la vicenda esodati. La conosciamo tutti. Ed è grave. Per il resto, in particolare i risparmi economici che produrrà, la riforma continua a ottenere i complimenti delle istituzioni internazionali. Qui vogliamo sottolineare due aspetti. Primo: l'allungamento dell’età pensionabile e la recessione hanno creato un combinato disposto micidiale: il ricambio generazionale si è bloccato e le opportunità di lavoro, in un mercato che non genera posti aggiuntivi, sono crollate. È vero, le riforme per definizione sono strutturali, ma il loro dispiegarsi (tempi di applicazione, gradualità, ecc.) non può non tenere conto della congiuntura.

Secondo: obiettivo delle riforme non dovrebbe essere solo quello di migliorare i conti pubblici, ma riuscire a farlo coniugando il tutto con le esigenze delle persone. Cara professoressa- ex ministra Fornero, lei è madre di famiglia e quindi dovrebbe saperlo: se a tavola non si porta mai carne o pesce, il bilancio familiare migliora, ma si rischia anemia e denutrizione. Può sembrare superfluo ricordarlo, ma evidentemente non lo è.