Il rischio della subalternità

di Carlo Fusi
2 Minuti di Lettura
Sabato 20 Aprile 2013, 16:55




Si materializza il peggiore degli incubi: l’incapacità di decidere. Riguarda in maniera clamorosa il Pd, sempre più avviluppato in logiche autodistruttive. Ma il rischio è che nella spirale dello stallo ci precipiti l’intero Parlamento: da un lato perché i numeri inchiodano ciascuna forza politica alla necessità di trovare un’intesa con altri perché l’autosufficienza non c’è per nessuno; dall’altro perché lo sgretolamento riguarda il principale partito del Paese.



I cento franchi tiratori che hanno impallinato, fino a costringerlo al ritiro, non un candidato qualsiasi ma Romano Prodi - ossia il fondatore e leader riconosciuto dell’Ulivo - esprimono l’impazzimento che contrassegna il quadro politico uscito dalle urne del 24 febbraio. Non c’è più solo un problema di insufficienza e inadeguatezza di chi guida i Democrat, questione che pure resta e anzi deflagra sui 521 voti presi da Franco Marini: se quella candidatura infatti fosse rimasta, oggi l’Italia avrebbe un nuovo Presidente. E resta anche il fatto che l’affondamento di Prodi rappresenta un duro colpo per la leadership di Matteo Renzi, kingmaker della candidatura dell’ex premier. Il punto vero è che lo sfaldamento del Pd interroga il rapporto tra eletti ed elettori e, soprattutto, il vincolo di appartenenza, mastice per ogni aggregazione politica. I Democratici appaiono infatti un insieme di componenti l’un contro l’altra armata, in un crescendo di irresponsabilità. Perfino Sel lancia accuse plateali. Servirebbe, al minimo, una tregua. Ma non c’è tempo: a Montecitorio oggi si rivota. A questo punto è difficile credere che il Pd possa esprimere un candidato. Cresce la spinta a votare Rodotà: ma significa consegnarsi a Grillo in posizione di manifesta subalternità.