La detrazione decrescente ha però un effetto collaterale: innalza l'aliquota marginale effettiva applicata a quel livello di reddito, ossia il prelievo su un'ipotetica quota aggiuntiva di reddito (ad esempio quella che deriva da un aumento di stipendio). Ciò avviene perché oltre all'aliquota nominale, ad esempio il 38% per un reddito di 30.000 euro, va considerato il fatto che l'incremento dell'imponibile riduce l'entità della detrazione, aumentando quindi l'incidenza dell'imposta su quello che si guadagna in più. Ecco quindi che in base alle regole appena approvate il nostro lavoratore dipendente da 30.000 euro (già dedotti i contributi) pagherà il 42,5 per cento su 1.000 che guadagnerà in più; senza contare le addizionali locali. L'aliquota marginale effettiva è ancora più alta, 44,2 per cento, nel caso il dipendente abbia figli a carico, perché anche la relativa detrazione è decrescente.
Alte aliquote marginali – ci spiega la teoria economica – sono un disincentivo a lavorare di più. L'attuale assetto dell'Irpef è già caratterizzato da questo fenomeno, che però con i ritocchi in via di approvazione viene ulteriormente accentato. Con un ulteriore paradosso, spiegato da Ruggero Paladini in un articolo su Nens.it: l'aliquota effettiva è maggiore per lo scaglione tra 28.001 e 35.000 euro rispetto a quello successivo (da 35.001 a 55.000 euro): 42,5 contro 41,3. Insomma per chi guadagna di più gli aumenti di stipendio sono un po' più convenienti.