E’ qui, lo sguardo perso nel vuoto, la pelle a coprire uno scheletro fatto di privazioni e sofferenza, che Giulio Brusadelli, 34 anni, ha capito che il suo incubo cubano stava per concludersi. Era cominciato con una perquisizione, la scoperta di tre grammi e mezzo di marijuana, l’accusa di spaccio, il processo, la condanna a quattro anni di carcere. E che carcere. Era tutto troppo: il peso delle detenzione, la sua smisurata lunghezza, la sproporzione tra tre “canne” tenute nel cassetto e quattro interminabili anni in cella.
E’ scattata allora una solidarietà forte, diffusa, quasi accanita: dall’avvocato Grazia Volo, tenacissimo e valido difensore di tante cause, all’interessamento del senatore Luigi Manconi, al sottosegretario agli Esteri Mario Giro, all’azione diplomatica degli ambasciatori dei due Paesi. Un caso giudiziario e umano e si è imposto in tutta la sua drammaticità grazie alla costante, intelligente pressione sulle autorità cubane.
La storia di Giulio Brusadelli resta emblematica e ci riporta a tanti altri casi di italiani rinchiusi in carceri dove la dura detenzione e la scommessa sulla sopravvivenza giocano ogni giorno a scacchi con la morte. E fornisce un severo insegnamento: ragazzi quando siete lontani da casa guardate bene dove mettete i piedi.