Così infranse la barriera del silenzio

Papa Giovanni Paolo II in visita al Messaggero il 9 dicembre 1990
di Giovanni Maria Vian
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Venerdì 18 Aprile 2014, 17:43 - Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 00:56
Assisi, 5 novembre 1978. Il nuovo papa aveva voluto venire a pregare sulla tomba del patrono d’Italia e cos, in quel pomeriggio d’autunno, in meno di quattro ore si realizz – dopo il pellegrinaggio di qualche giorno prima al santuario mariano della Mentorella, nei pressi di Roma – il secondo viaggio del pontificato. Dalla folla che lo acclamava all’improvviso si levò un grido, con l’intenzione di ricordare al pontefice appena eletto la Chiesa del silenzio. E d’istinto Giovanni Paolo II si voltò, esclamando che la Chiesa del silenzio ora parlava, attraverso di lui. Ecco, in una sola battuta, Wojtyla il comunicatore. Con una risposta estemporanea, infatti, il papa esplicitò con più chiarezza quello che aveva detto tre settimane prima, subito dopo l’elezione.



Dopo il tradizionale e nello stesso tempo clamoroso annuncio dell’habemus papam, la sera del 16 ottobre Giovanni Paolo II si era affacciato e aveva compiuto lo strappo non riuscito al suo predecessore, che pure ne aveva l’intenzione: prima di benedire la folla che si era accalcata in piazza San Pietro il nuovo papa infatti parlò. E le parole che Wojtyla pronunciò furono tradizionali e nuove insieme: «Sia lodato Gesù Cristo.



Carissimi fratelli e sorelle, siamo ancora tutti addolorati dopo la morte del nostro amatissimo papa Giovanni Paolo I. Ed ecco che gli eminentissimi cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma. Lo hanno chiamato da un paese lontano… lontano ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana. Ho avuto paura nel ricevere questa nomina, ma l’ho fatto nello spirito dell’ubbidienza verso nostro Signore Gesù Cristo e nella fiducia totale verso la sua madre, la Madonna santissima. Non so se posso bene spiegarmi nella vostra... nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete. E così mi presento a voi tutti, per confessare la nostra fede comune, la nostra speranza, la nostra fiducia nella madre di Cristo e della Chiesa, e anche per incominciare di nuovo su questa strada della storia e della Chiesa, con l’aiuto di Dio e con l’aiuto degli uomini».



A sorpresa, infatti, dopo un conclave non facile, per la prima volta dopo quasi mezzo millennio il vescovo di Roma era stato scelto non dall’Italia ma “da un paese lontano”, cioè da quella Chiesa del silenzio che – nonostante diffusi pregiudizi ideologici, anche tra i cattolici – lontana certo non si sentiva. E soprattutto il papa non aveva paura di esprimersi in una lingua che sì conosceva, ma che non era la sua (la «vostra… nostra lingua italiana»), parlando con immediatezza e semplicità come per poco più di un mese aveva fatto il suo predecessore Luciani, morto all’improvviso il 28 settembre. Così, con quelle poche frasi, aperte da un saluto tradizionalissimo («sia lodato Gesù Cristo») e ricordate da tutti per quel «corrigerete», in un attimo conquistò la simpatia dei romani, e certo non solo la loro, ben al di là dei confini visibili del mondo cattolico.



Durante tutto il pontificato – il più lungo della storia dopo i trentadue anni di Pio IX (1846-1878) – fu davvero un papa popolarissimo Giovanni Paolo II, anche se altrettanto forte e tenace fu l’opposizione mediatica, ora per lo più dimenticata. E subito divenne popolare anche perché subito si dimostrò capace di comunicare, quasi magneticamente. Con le folle innanzi tutto, ma anche a tu per tu, nei rapporti personali. Sono stati innumerevoli le persone da lui incontrate (tra queste, moltissimi i giornalisti), memorabili le conferenze stampa tenute in aereo durante i 104 viaggi internazionali e numerose le interviste, alcune divenute libri. Novità in ambito mediatico, a dire il vero, quasi tutte introdotte da Paolo VI, ma che con il papa polacco divennero frequenti e quasi normali. In tutto il mondo, che percorse tenacemente sino a pochi mesi prima della morte, nonostante il declino fisico sempre più evidente.



La comunicazione papale divenne così davvero globale, anche se Wojtyla non si nascondeva i limiti della sua popolarità quando osservava che piaceva il cantante ma non la canzone, cioè la sua predicazione. E nonostante le opposizioni – arrivate quasi subito al tentativo, quasi riuscito, di assassinio il 13 maggio 1981 – il papa non si fermò, portando in tutto il mondo l’annuncio gridato in piazza San Pietro il 22 ottobre 1978, nell’omelia per l’inaugurazione del pontificato: «Fratelli e sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà! Aiutate il papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera! Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!». E al grido si aggiunse alla fine della messa il gesto di innalzare con entrambe le mani il pastorale a forma di crocifisso che era stato di Paolo VI, per mostrare al mondo l’unico salvatore.



Alle parole, tantissime, pronunciate nelle più diverse lingue, s’aggiunsero infatti i gesti, in una capacità comunicativa istintiva e fuori del comune, maturata già in gioventù nelle esperienze di quel “teatro rapsodico” formatosi a Cracovia come resistenza all’occupazione nazista della Polonia.



Gesti moltiplicatisi negli anni, dalla visita al suo attentatore in carcere al bastone roteato per seguire il canto dei giovani che si stringevano al papa, ormai vecchio e sofferente. Fino all’ultima benedizione del 30 marzo 2005, muta perché non poteva più parlare.
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