Conte, la predica e le chiacchiere da bar
quando tutto il mondo è "provincia"

Conte, la predica e le chiacchiere da bar quando tutto il mondo è "provincia"
di Alessandro Angeloni
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Sabato 3 Maggio 2014, 09:54 - Ultimo aggiornamento: 12:09
«L’arbitro ci ha presi in giro»; «C’è mancato un episodio favorevole»; «Il Benfica ha fatto ostruzionismo» (dimenticando che negli ultimi dieci minuti, i portoghesi hanno giocato in nove, ndr). Parole e musica post eliminazione di Antonio Conte, il tecnico che ha dato del provinciale a un suo collega, Rudi Garcia, che aveva notato come certi presidenti non avessero creato i presupposti giusti per andarsi a prendere un punticino allo Stadium di Torino, magari schierando una formazione non proprio all’altezza. Provinciale è altro. Forse è un termine che più si addice all’Italia nelle Coppe, e di rimbalzo anche allo stesso Conte, che nell’arco della stagione ha dominato (fino a un certo punto) il campionato italiano, ma prima in Champions è uscito dalla fase a gironi totalizzato sei punti nel gruppo in cui era accompagnato da Real, Copenaghen e Galatasaray, poi al primo vero ostacolo in Europa League, ha ceduto il passo. Provinciale, si diceva. Se Garcia lo è, Conte non è da meno. Perché è facile indignarsi con un collega lamentoso con un arbitro, per un episodio contro, diretto o indiretto, oppure perché fa i conti sui punti che mancano per sviste arbitrali, per Conte dovrebbe essere altrettanto facile tacere quando i suoi conti non tornano. Invece, ecco lo sproloquio sul direttore di gara di Juventus-Benfica, per i minuti di recupero non esatti, per il classico rigore mancante. Provinciale. Come tutti.



IL PULCINO BAGNATO

Vai a capire ora se lo sia (provinciale) di più Ventura, Garcia, Benitez oppure lo stesso Conte, che non si distingue dagli altri. L’Italia sta facendo una brutta fine anche per queste guerre di cortile. Il problema di fondo è che le nostre squadre hanno dimostrato di non essere competitive e Conte, se qui è un principe, al di la dei confini è un paggetto, un pulcino bagnato, ora costretto a guardarsi da casa la finale di Europa League con il telecomando in mano, forse pure perché il suo calcio non è vincente oltre l’Italia. Se la Juve non è all’altezza dell’Europa, figuriamoci le altre. Se Conte dovesse mai andare via dalla Juventus, chi sarebbe pronto ad accoglierlo a braccia aperte? Il Real, il Chelsea, il Manchester United? Difficile se non impossibile. C’è tempo per l’eccellenza, bisogna pedalare molto. Il dominio in Italia non è così sfavillante, come vogliamo farlo sembrare; vincere oggi qui non è come qualche anno fa, quando a dominare, è vero, era la Juve di Calciopoli, ma c’erano anche tanti grandi squadre più o meno dello stesso livello, basti pensare al Parma, con cui sia Juve che Roma quest’anno hanno fatto sei punti. Alla fine aveva ragione Capello: il campionato italiano non è allenante per l’Europa. I dati dicono questo. Al di là delle lotte di cortile. E ora siamo i primi degli ultimi. Qui litighiamo tra di noi, tu sei brutto, tu sei bello, tu sei provinciale. Gli altri ci ridono in faccia.



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