La madre di Gloria: «Avevo visto
i lividi, sapevo la vita che faceva
ma non ho pouto aiutarla»

L'egiziano Saad Mohamed
di Pierfederico Pernarella
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Mercoledì 20 Settembre 2017, 21:45
L RACCONTO
La vita non era stata clemente con Gloria. Per parare gli urti, si era chiusa a riccio: voleva proteggere non tanto se stessa quanto i due figli, ai quali teneva più di ogni altra cosa al mondo. Perché non ha chiesto aiuto? Temeva che i suoi aguzzini avrebbero fatto del male anche ai suoi figli o che la giustizia, se fosse venuto tutto a galla, glieli avrebbe portati via? E poi: perché nessuno si è accorto del calvario che stava attraversando? Negli ultimi tempi più di qualcuno aveva sospettato che non se la stesse passando bene, ma nessuno aveva mai immaginato o voluto conoscere l’inferno portato alla luce dalle indagini sul suo omicidio.
Sempre più spesso sul suo corpo e sul viso comparivano dei lividi, un occhio nero, che la ragazza tentava di nascondere con una maglia lunga o con il trucco.
«Quando le chiedevo cosa aveva fatto - racconta la madre Carmela - lei mi rispondeva che aveva battuto contro una porta o era caduta. So che anche l’assistente sociale le aveva fatto delle domande su quei lividi, ma lei non rispondeva». L’assistente sociale che seguiva Gloria e i figli era la dottoressa Sandra Nobili. Gli incontri avvenivano periodicamente, ogni due settimane, come da prassi. «L’ultimo - riferisce la dottoressa - è avvenuto una settimana prima della sua morte». Di più l’assistente sociale non può aggiungere per ragioni di privacy e segretezza professionale.
Secondo la madre di Gloria i guai della figlia sono iniziati quando è andata ad abitare con la zia, Loide Del Prete, cugina di primo grado della signora Carmela, arrestata ieri con il compagno egiziano
«Abitava con noi in via Bellini. Un giorno - prosegue la donna - mi disse che uscendo dalle Poste aveva incontrato la zia e aveva deciso di andare ad abitare con lei in Corso Lazio. Dopo il trasloco in poi non è stata più la stessa. Era una bonacciona, si fidava delle persone. Credo che sia stata plagiata, aveva paura. Noi avevamo saputo la vita che era costretta a fare, ma non immaginavamo che sarebbero arrivati a tanto. Non abbiamo potuto fare niente, non potevamo parlare, perché saremmo stati in pericolo anche noi».
DON ERMANNO
Povertà, emarginazione, violenza e omertà. Un mix che è costato la vita a Gloria. Un mix nel quale mette tutti i giorni le mani don Ermanno D’Onofrio presidente dell’associazione “Il Giardino delle Rose Blu” che gestisce l’omonima casa famiglia, in viale Europa, a cui Gloria si è rivolta quando è diventata mamma. «Da qualche tempo non frequentava più il nostro centro, sapevo che era andata ad abitare con la zia, in una casa occupata. Le occupazioni degli alloggi popolari sono una delle più gravi emergenze del capoluogo, un male da cui spesso ne nascono altri, di fronte al quale spesso le istituzioni restano impotenti, lasciano fare, sbagliando. Sapevo che la zia era una apprezzata lavoratrice, impiegata come donna delle pulizie anche presso famiglie per bene. Chiedevo sempre di lei e sapevo che il suo caso era costantemente monitorato dai servizi sociali». È stato don Ermanno a squarciare il velo delle cronache che avevano etichettato Gloria come una «prostituta finita male». È stato lui, nell’omelia pronunciata durante i funerali, a denunciare il suo sacrificio, come quello di Cristo. È stato lui a raccontare l’altra Gloria, la mamma premurosa che si prendeva cura dei propri figli: «Il mio pensiero - racconta ora don Ermanno - è andato ai bambini, a quando saranno più grandi e conosceranno su Internet cosa è accaduto alla madre: ecco avrebbero dovuto leggere anche delle parole di compassione».
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