Luca Diotallevi
Luca Diotallevi

​L'analisi / Il senso della Giustizia che va oltre i proclami

di Luca Diotallevi
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Domenica 31 Marzo 2024, 00:16
Brutt’affare la giustizia. Davvero un gran brutto affare. Non sai da che parte prenderla, per la giustizia non c’è mai una ricetta già pronta.
Si sa che la giustizia non si produce da sola, ma se la imponi ottieni solo ingiustizia. È la lezione senza eccezioni di socialismi reali e nazionalsocialismi, di fascismi e comunismi.
Si sa anche che senza la libertà non c’è giustizia, ma da sola la libertà non produce giustizia.
Giustizia fa pensare a pace, ma pax opus iustitiae (la pace è opera della giustizia) sta lì a ricordare che la mancanza di guerre e conflitti è una specialità dei tiranni vittoriosi: chi più di loro è capace di non far volare una mosca e di tenere tutto in ordine? Cercare la giustizia non di rado esige di “fare la guerra” alla pace dei tiranni (dei loro complici e dei loro lacchè).
Ad assolvere al dovere della giustizia non è sufficiente neppure una grande generosità individuale. La giustizia richiede anche di edificare e mantenere strutture collettive presidiate da poteri abbastanza forti da proteggere i diritti dei deboli.
Strana cosa la giustizia. Puoi farla crescere a livello globale in modi che però la incrinano a livello locale o, al contrario, può capitare che riesci a farla crescere in un luogo epperò in modi che ne scaricano i costi su chi vive fuori da quel luogo. Esempi? Negli ultimi decenni un miliardo di persone è uscito dalla povertà a livello globale, ma questo stesso processo ha fatto regredire il ceto medio delle società avanzate. E ancora: sino alla metà del secolo scorso non pochi imperi coloniali avevano al loro cuore società assai più giuste di quelle che opprimevano.
Brutt’affare la giustizia, e per giunta affare sempre più urgente. Oggi la giustizia è stretta nella morsa di una orribile tenaglia. Da una parte il terrorismo minaccia i diritti di milioni di persone ed a questa minaccia si aggiungono le aggressioni e le oppressioni di cui sono protagonisti gli stati autoritari; d’altra parte le diseguaglianze spingono i poveri sempre più lontano dai ricchi e, come se non bastasse, trasformano quote sempre più grandi dei ceti medi in schiere di nuovi poveri.
Negli ultimi mesi i discorsi di un numero sempre maggiore di leader e di analisti hanno assunto toni da tempo inauditi allo scopo di risvegliare la pubblica opinione ed i decisori di ogni campo alle ragioni della giustizia, alla giustizia come compito, alla giustizia come dovere che richiede l’umiltà di correggersi e la fatica di tener duro.
Di fronte alle ingiustizie delle aggressioni militari e della crescita di spaventose diseguaglianze, alla causa della giustizia non bastano auspici, sentimenti ed intenzioni. Né solo preghiere, se prestiamo fede a quel Dio che pure chiede di pregare sempre: infatti «non chi dice Signore, Signore …» (Mt 7, 21). Alla causa della giustizia serve anche forza, intelligenza e responsabilità. Responsabilità: capacità di ascoltare chi parla dall’ultima fila e di cambiare direzione di marcia. Intelligenza: scegliere parzialità per correggere altre parzialità. Forza: per vincere la paura del confronto e della lotta. La giustizia è dovere. La giustizia parla una lingua di cui molti hanno dimenticato la grammatica del coraggio, la sintassi dell’etica e la semantica della speranza.
Potrebbero sembrare pensieri poco pasquali. Strano, perché quella che a Pasqua si celebra od almeno si ricorda è la vittoria sul male di cui l’uomo è capace e sulla morte di cui l’uomo è schiavo, vittoria da parte di un Dio che ha privato di ogni forza i principati e le potestà di questo mondo, che li ha pubblicamente irrisi (cfr. Colossesi 2, 15). Vittoria giunta al termine di uno Shabbàt, divina protesta contro schiavitù e oppressione (cfr. Deuteronomio 5, 14), al termine di un Sabato passato da Cristo a infrangere persino le catene degli inferi (Isacco di Ninive).
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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